La Fiaccola benedettina pro pace et Europa una arriva a Montecassino e a Cassino

Sabato 18 marzo 2023: l’arrivo della Fiaccola a Montecassino e Cassino.

Un turbinio di colori e suoni quello che ha avvolto l’Abbazia di Montecassino oggi 18 marzo a partire già dall’apertura. Il suono deciso e ritmato dei tamburi, quello gioioso dei tamburelli delle popolane e quello delle danze dei nobili. I colori degli abiti dei figuranti, delle divise delle forze dell’ordine e dei tedofori.

Dopo tante prove, finalmente il Corteo Storico – con la militia schierata a partire dall’ingresso antico sotto l’enorme scritta PAX – era pronto ad accogliere l’arrivo della Fiaccola pro pace et europa una quest’anno pellegrina in Portogallo dopo essere stata già a Norcia e a Subiaco.

Primo anno per l’Abate Luca che ha iniziato il suo abbaziato nel periodo della Festa di San Benedetto in cui ha quindi potuto sperimentare da subito il legame del territorio con le radici, con San Benedetto e con le città benedettine gemellate nel nome del Fondatore del Monachesimo occidentale e Patrono d’Europa.

Dom Luca ha accolto davanti all’ingresso della Basilica la Fiaccola scortata dal CUS Cassino, dal gruppo podistico Norcia Run 2017 e dai Marciatori Simbruini della Città di Subiaco.

Oggi con l’arrivo della Fiaccola sulla tomba dei Santi Benedetto e Scolastica chiediamo a loro una particolare intercessione per la pace in Italia, in Europa e nel Mondo. I pilastri della vera pace sono la giustizia e quella particolare forma dell’amore che è il perdono.

In questa giornata per mezzo di questa luce della fiaccola salga dal cuore di ogni credente più intensa la preghiera. Possa l’umana famiglia trovare pace vera e duratura, quella pace che solo può nascere dall’incontro della giustizia con la misericordia!

“Subito dopo la lettura del Vangelo, l’Abate Luca ha condiviso con i presenti una breve riflessione :

«Quale gioia, quando mi dissero…». Pregando il salmo 121 abbiamo pronunciato queste parole, che esprime bene anche la nostra gioia oggi, nell’accogliere la fiaccola di san Benedetto pro pace et Europa una.

Il salmo 121 appartiene a una piccola collezione di quindici salmi, all’interno del Salterio, tutti caratterizzati da una stessa intestazione: «canti delle salite». Probabilmente erano le preghiere che accompagnavano i pellegrini che salivano verso Gerusalemme, e dunque anche verso il tempio, verso il luogo di Dio, verso l’incontro con lui. Come in fondo avete fatto tutti voi oggi, salendo in questa Chiesa, dove riposa san Benedetto, patrono d’Europa, insieme alla sorella Scolastica.

La gioia di cui parla il Salmo, peraltro, declina insieme il singolare con il plurale; tiene cioè insieme l’esperienza personale e quella comunitaria, di un popolo intero. Dice infatti il primo versetto:

Quale gioia quando mi dissero:

«Andremo alla casa del Signore».

Quale gioia quando mi dissero: dissero proprio a me, ecco l’esperienza personale, che tuttavia si apre subito dopo a un respiro più ampio: andremo. Non andrò, ma andremo, al plurale: la gioia consiste infatti nel poter camminare, ma insieme agli altri, come popolo, come comunità. Perché si può andare verso Gerusalemme, che è la città della pace (questa infatti è l’etimologia popolare del nome di questa città), solo camminando insieme agli altri, come fratelli e sorelle riconciliati, che cercano insieme la giustizia e la pace.

È illuminante anche notare come nel salmo ci siano quattro termini che ricorrono tre volte, e il tre, nella simbologia biblica, è una cifra che evoca pienezza, compimento. I termini sono: Gerusalemme, città, pace, Signore (nella traduzione italiana Signore ricorre quattro volte, ma è un problema della nostra versione, in ebraico lo troviamo tre volte, una quarta solo in forma abbreviata).

Gerusalemme viene cercata dal pellegrino e celebrata dal salmo come dimora del Signore, come casa, come luogo di pace. In altri termini: quando sale a Gerusalemme, il pellegrino cerca in questa città tre realtà: il Signore, una casa, la pace. Il salmo in questo modo ci consegna una domanda: che senso ha per la nostra vita desiderare l’incontro con il Signore, cercare una casa, aspirare alla pace? Cercare Dio significa anche cercare una casa in cui abitare insieme, nella pace, facendo delle nostre città dei veri luoghi di incontro, di dialogo di pace. Come accade anche oggi, in questo giorno in cui qui convergono e abitano insieme le tre città di Norcia, Subiaco, Cassino.

Una ulteriore sottolineatura. Il salmo ricorda il motivo per cui si sale verso Gerusalemme. Il motivo è duplice. Innanzitutto ci si va per lodare il nome del Signore, come ricorda il v. 4. E si loda il nome di Dio nel suo tempio. Ma si sale verso Gerusalemme anche perché là sono posti i seggi o i troni del giudizio, i troni della casa di Davide. Qui si fa riferimento ai seggi da cui si amministra la giustizia, perché il re, Davide e i suoi discendenti, deve assicurare in nome di Dio la giustizia tra il popolo. Quindi, si sale verso Gerusalemme per questo duplice e inseparabile motivo: per rendere culto a Dio nel suo Tempio, ma anche per rendere culto all’uomo, e il culto dell’uomo è la giustizia, che si cerca là dove sono posti i seggi di Davide, cioè il tribunale – come lo definiremmo noi con la nostra terminologia – come luogo in cui si amministra la giustizia tra gli uomini. Gerusalemme può essere città di pace perché contemporaneamente è città della preghiera ed è città dei giusti giudizi umani, città del culto a Dio e città del culto all’uomo, città del tempio e città della giustizia. Non c’è infatti culto autentico a Dio che non implichi l’esercizio della giustizia, come ricordano con forza alcune pagine della letteratura profetica. Basti qui ricordare Amos 5,21-14. L’assenza di giustizia rende il nostro culto solo esteriore e detestabile da Dio, che invece desidera essere cercato, invocato, celebrato da chi insieme al suo volto cerca anche il volto della giustizia da rendere al proprio fratello.

Ecco la condizione perché Gerusalemme sia città di pace. Questa tuttavia rimane una vocazione, un cammino verso cui tendere in risposta alla chiamata del Signore. Gerusalemme è città di pace perché deve diventare città di pace. Deve ancora diventare ciò che il suo nome esprime. Per questo motivo il pellegrino che sale a Gerusalemme non solo cerca pace, ma invoca pace sulla città, e la invoca dall’alto, dal dono di Dio, come ci ricorda l’ultima strofa del salmo. Il pellegrino cerca la pace, ma desidera portare anche il suo augurio e il suo saluto di pace; va a Gerusalemme per pregare per la pace, e gli ultimi versetti del salmo insistono molto su questa invocazione per la pace. Ed è anche quello che noi desideriamo vivere oggi: ci siamo ritrovati qui per pregare per la pace.

Gesù stesso è salito a Gerusalemme per portare il suo saluto di pace, che tuttavia Gerusalemme non ha saputo accogliere. Dobbiamo qui ricordare il testo di Luca che narra il pianto di Gesù su Gerusalemme, città incapace di accogliere il suo saluto di pace.

41Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo: 42 «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. 43Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; 44abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata» (Lc 19,41-44).

Dunque, la nostra preghiera rimane inutile, non riesce a ottenere quello che desidera? Spesso siamo delusi e frustrati perché anche oggi ci sono città, situazioni, realtà che non vogliono accogliere il nostro saluto di pace. Allora, tutto è inutile? Le Scritture ci rispondo di no, non è tutto inutile. Perché comunque il nostro impegno riceverà il compimento da Dio stesso. In modo molto significativo il libro dell’Apocalisse, libro con il quale si conclude l’intera Bibbia, termina con la visione della Gerusalemme celeste che discende dall’alto. Il pellegrino che sale verso Gerusalemme cercandola come città della giustizia e della pace fa invece la scoperta, sorprendente e grata, di contemplare una città che dall’alto scende verso di noi, come dono gratuito di Dio.

Con questa immagine della Gerusalemme che discende dal cielo si conclude l’Apocalisse e con l’Apocalisse l’intero arco della rivelazione biblica. Possiamo qui ricordare come si concludono le Scritture di Israele. Per noi l’ultimo libro del Primo Testamento è il libro del profeta Malachia. Non dobbiamo però dimenticare che la Bibbia ebraica ha un ordine diverso in cui i libri sono disposti. In essa l’ultimo libro è quello delle Cronache, che si conclude con questa immagine. L’imperatore Ciro decide di concedere agli ebrei esiliati in Babilonia di tornare a Gerusalemme e qui di ricostruire il tempio. Questo è l’ultimo testo della Bibbia ebraica:

22Nell’anno primo di Ciro, re di Persia, perché si adempisse la parola del Signore pronunciata per bocca di Geremia, il Signore suscitò lo spirito di Ciro, re di Persia, che fece proclamare per tutto il suo regno, anche per iscritto: 23«Così dice Ciro, re di Persia: “Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!”» (2Cr 36,22-23).

Il Primo Testamento si chiude con questa immagine di speranza e di attesa: il popolo può tornare a salire verso Gerusalemme, verso il tempio, verso Dio. Questa speranza si compie nel Nuovo Testamento, in modo inatteso e sorprendente. Perché l’immagine con cui si chiude l’Apocalisse è l’immagine della città perfetta, della Gerusalemme celeste, che scende verso gli uomini, dentro la loro storia, per trasfigurarla in celi nuovi e in una nuova terra. Il salire dell’uomo è simbolo di tutto il suo impegno nella storia, ma tutto ciò che l’uomo deve fare apre di fatto lo spazio all’accoglienza del dono di Dio che dall’alto discende. Attenzione: soltanto salendo si può percepire ciò che discende. Solo salendo. Il dono di Dio non consegna l’uomo a un’attesa passiva. Lo sollecita al contrario a fare tutto ciò che può e deve fare, perché solo nella sua fatica e nel suo sudore l’uomo può percepire ciò che non è frutto della sua fatica e del suo sudore, ma dono di Dio. Tutto è grazia, ma solo chi molto si affatica giunge a riconoscere che davvero tutto è grazia. Il senso della storia, e un criterio per leggerla riconoscendovi l’oggi di Dio, è allora costituito anche da questo grande criterio di discernimento che è l’attesa. Devi fare tutto quello che ti è possibile fare, ma rimanendo in attesa di un compimento, che ti verrà donato, e in modo paradossale compirà la tua attesa sorprendendola. Suscitando lo stupore di fronte a ciò che, sebbene atteso, rimane pur sempre inatteso.”( Scarica qui il testo in word)

Al termine, insieme ai sindaci l’Abate Luca, attingendo alla fiamma della Fiaccola pellegrina, ha acceso alla tomba dei santi Benedetto e Scolastica la Fiaccola portata da Paolo VI nel 1964 quando ha proclamato San Benedetto Patrono Primario d’Europa.

Ultimo momento in Abbazia dedicato alla rievocazione dell’Actus Reverentiae a San Benedetto e alla danze  medievali che quest’anno hanno visto anche la novità inerente un ballo delle popolane interamente  accompagnato dall’unico suono dei tamburelli.

Nel pomeriggio i tre Cortei storici hanno finalmente potuto sfilare per le vie della Città di Cassino dopo il lungo stop degli anni passati. Molto commovente l’omaggio del Corteo Storico al monumento ai Caduti dove ci si è raccolti per un ricordo del Caro Santino Daniele scomparso qualche mese fa e tra coloro che, insieme ai fondatori del Corteo Storico, lo ha sempre sostenuto ed ha contibuito a crerne le solide fondamenta che negli anni lo hanno portato a diventare la realtà che tutti ammirano.

Prima della lunga sfilata per le vie del Centro, il Corteo ha portato in piazza due momenti empre molto suggestivi : il Giuramento della Militia e la bendizione delle Panelle distibuite poi ai presenti in piazza. La giornata è stata come sempre impeccabilmente presentata da Laura D’Onofrio e Michele Giannì che con il loro tono familiare e sempre professionale hanno accompaganto e scandito tutti i momenti della giornata.

In piazza De gasperi, dopo gli interventi dei Sindaci è arrivato il primo saluto alla città da parte dell’Abate Luca:

“Unisco anche io le mie parole, la mia voce a tutti i ringraziamenti che sono stati già espressi fino ad ora dai sindaci, ma aggiungo il mio personalissimo e molto grato ringraziamento per l’accoglienza che oggi così calorosa, bella, ospitale e sincera mi avete riservato. Vi sono molto grato. Sono molto grato anche a Laura e Michele che a nome di tutti me l’hanno espressa e con così grande simpatia ci hanno accompagnato in questa giornata.

Io penso che forse le parole più importanti le ho dette questa mattina durante la Celebrazione della Parola di Dio in Abbazia e le ho dette anche quando mi è stato rivolta una domanda, che poi era una richiesta, e ho risposto : “Facite Festa”.

Si fa festa spesso per motivi banali, ma oggi credo che facciamo festa per motivi molto importanti, significativi e fondanti del nostro stare insieme. Raccolgo questi motivi intorno a tre termini: incontro, Pace e San Benedetto, che non è un termine ma è un nome.

Incontro: perché appunto il bello di far festa è incontrarsi, vivere la bellezza, la gioia dell’incontro dell’essere insieme, della comunità. Stiamo vivendo l’incontro tra comunità diverse : la comunità di Norcia di Subiacoe di Cassino, un segno profetico di quell’incontro tra popoli diversi a volte in conflitto, quel conflitto per il quale invochiamo la Pace.
Pace è proprio il secondo termine che incontriamo e che dà senso alla nostra festa. Può sembrare strano e paradossale far festa per la pace in un momento in cui, come sappiamo, la nostra storia è dilaniata da tante guerre che insanguinano il volto della storia, però credo che abbia un senso fare festa perché quello che stiamo vivendo è proprio questo: il credere nella Pace, come ci testimonia anche questa Fiaccola che sta rischiarando questo primo imbrunire che sta scendendo su questa piazza.

Credo che uno dei pericoli più grandi che viviamo, uno dei drammi più grandi sia proprio questo: c’è certo il dramma della guerra, un dramma terribile ma forse c’è un dramma peggiore che è quello di abituarsi all’idea della guerra, di pensare che la guerra sia inevitabile, sia necessaria e addirittura giusta. Questo fare festa attorno a questa Fiaccola accesa come segno di pace deve ricordarci questo: che possiamo impegnarci, possiamo credere, possiamo fare ogni sforzo per la Pace.

Il terzo motivo per far festa è san Benedetto. Ciò che ci fa incontrare, ciò che ci accomuna è questa memoria di san Benedetto. Ricordare san Benedetto credo che significhi soprattutto questo, ricordare un uomo che è stato un cercatore, di Dio certo, ma cercatore della Verità, della Giustizia e della Pace. Il Cammino che questa Fiaccola ha vissuto ci ricorda anche il Cammino come ricerca, che siamo tutti chiamati a vivere.

Qui noi tutti siamo accomunati da uno stesso spirito che ci rende cercatori di Verità, di Pace e di giustizia perché è in questo modo che si diventa davvero cercatori di Dio.”

Prossimo appuntamento domenica 19 in Piazza Diamare con la rappresentazione del Processo che ha dato origine al Placito Cassinese e spettacolo con danze e mangiafuoco.

Servizio fotografico di Roberto Mastronardi