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Etica della restituzione dei beni artistici – l’Abate Donato per il “Premio Petrarcone”

Etica della restituzione dei beni artistici

Cassino – Palagio Badiale – Sala degli Abati
19 novembre 2021
Ab. Donato Ogliari

“Etica”
Per contestualizzare la nostra riflessione/narrazione, occorre delineare brevemente il significato che intendiamo attribuire ai termini “etica” e “restituzione”.
Parlare di “etica” significa richiamarsi ad una riflessione che abbiacome oggetto il comportamento pratico dell’essere umano, in riferimento al vero bene da perseguire, ai mezzi atti a conseguirlo, ai doveri morali verso sé stessi e verso gli altri, e ai criteri che consentono di esprimere un giudizio sulla moralità delle azioni che si compiono .

Intuiamo subito come tutto ciò tocchi l’ambito della coscienza, della libertà e della responsabilità individuali, problematiche che Immanuel Kant aveva affrontato nella sua Critica della Ragione pratica, all’interno della sua discussione sull’innato senso morale dell’uomo (i famosi imperativi ipotetici e categorici). Del resto, l’esito finale di un discorso etico è la sua applicazione fattuale, la sua realizzazione pratica.

“Restituzione”
Nella presente riflessione consideriamo il termine “restituzione” come conseguenza di una appropriazione indebita, ossia di un’ingiustizia che richiede di essere riparata. Questo è un principio che, nel pieno rispetto dei diritti delle persone e delle comunità, si fonda sulla cosiddetta giustizia commutativa, la quale obbliga chi – direttamente o indirettamente – si è appropriato di un bene altrui, a restituirlo. Tanto più che, oltre al carattere culturale e storico che un bene può rivestire, vi può anche essere un sentire affettivo o religioso e spirituale che va ripristinato.
Poiché ci troviamo a Cassino, vien naturale soffermarci – seppure in modo estremamente sintetico – sulle vicende che hanno interessato l’Abbazia di Montecassino durante l’ultimo conflitto mondiale. Da una parte vi è l’opera di salvataggio dei preziosi documenti, libri e opere d’arte, avvenuto prima dello scontro frontale tra l’esercito alleato e quello tedesco. Dall’altra vi sono le “sottrazioni indebite” di materiale artistico prelevato dalle macerie dell’abbazia, in seguito al bombardamento del 15 febbraio 1944, sottrazioni nelle quali furono coinvolti sia i soldati dell’esercito tedesco, seppur in maniera minore, sia, soprattutto, i soldati dell’esercito alleato.

Il salvataggio dei beni artistici di Montecassino durante l’ultimo conflitto bellico mondiale. Narrazione sintetica
Diciamo subito che l’opera di “salvataggio” dei beni artistici di Montecassino fu formalmente pensato come un “trasferimento” finalizzato a sottrarre alla distruzione un patrimonio dell’umanità, e a metterlo in salvo in un posto sicuro. Tuttavia, nell’operazione di salvataggio intervennero elementi non chiari che hanno finito col produrre delle crepe in quella lodevole iniziativa, insinuando il dubbio che in essa fosse dissimulata una sorta di “trafugamento istituzionalizzato”.

Ma che cosa realmente successe? Il salvataggio delle opere di Montecassino nacque da un’iniziativa dell’ufficiale tedesco della Wermacht, il Cap. Medico Maximilian Becker, al quale fu affiancato un altro ufficiale, il Ten. Col. Jiulius Schleger. Entrambi appartenenti alla Divisione Hermann Göring, si presentarono al P. Abate Gregorio Diamare, a insaputa l’uno dell’altro, la mattina del 14 ottobre 1943, per illustrargli l’iniziativa.

Il Cap. Becker, aveva già collaborato all’opera di salvataggio della Biblioteca Nazionale di Napoli, i cui libri furono trasportati in un convento francescano di Teano. Il Ten. Col. Schlegel, dal canto suo, era al comando del reparto riparazione automezzi, il che si rivelerà decisivo per la messa in opera del piano di salvataggio.

Il primo a presentarsi all’Ab. Diamare fu il Ten. Col. Schlegel, il quale, come leggiamo nel Diario di guerra del monaco D. Eusebio Grossetti, «comunicò con riservatezza che la Suprema Autorità Militare Germanica aveva segnata la linea di difesa ad oltranza lungo il Garigliano, passando per Cassino. Il monastero quindi sarebbe venuto a trovarsi proprio sulla linea del fuoco. Lo invitava a mettere in salvo tutto il patrimonio culturale ed artistico della Badia: offriva i mezzi per lo sgombero di tali tesori. Invitava anche i monaci a lasciare la Badia. Si congedò dicendo che sarebbe ritornato il giorno dopo per prendere la risposta del P. Abate, che intanto doveva interrogare la Comunità» .

In realtà la possibilità di consultare la comunità fu solamente una concessione formale. Infatti, anche se la comunità avesse dato parere negativo al trasferimento del materiale librario e artistico, le autorità germaniche avevano già preso la decisione di asportarlo, e con esso aveva anche deciso di far evacuare i monaci e i civili che si trovavano all’interno del monastero, dal momento che, trovandosi l’abbazia in un punto strategico della Linea Gustav, il timore di un bombardamento alleato sembrava sempre più inevitabile.

Ad essere poste in salvo non sarebbero state solo la Biblioteca e l’Archivio statali (incamerati dal nuovo Regno d’Italia con le cosiddette Leggi eversive del 1866 e 1867), e a una parte della Biblioteca e dell’Archivio privati che la Comunità monastica aveva ricostituito nel corso degli anni, ma anche altri preziosi tesori artistici che erano stati depositati a Montecassino nella convinzione che vi avrebbero trovato un riparo sicuro: il Medagliere del Museo Numismatico di Siracusa, il Tesoro di S. Gennaro, le 187 casse del Museo di Napoli, 2 casse contenenti manoscritti, autografi e cimeli dei poeti Keats e Shelley, appartenenti al “Keats and Shelley Memorial”, e alcune casse di proprietà di S. A. R. il Principe di Piemonte.

Naturalmente, gli ufficiali Becker e Schlegel poterono realizzare il piano di salvataggio grazie all’appoggio del loro superiore gerarchico il Gen. Paul Conrath, comandante della Divisione Hermann Göring, che autorizzò l’utilizzo di autocarri, carburante e guidatori per salvare e trasportare al sicuro i manoscritti, i libri e gli oggetti preziosi che si trovavano a Montecassino.

Il primo camion partì da Montecassino il 19 ottobre 1943, mentre gli ultimi due lasceranno l’abbazia il 3 novembre successivo. Assieme ai beni artistici e culturali partì anche il grosso della comunità monastica (l’Ab. Diamare, assieme ad un gruppo di dieci monaci, riuscì ad ottenere il permesso di rimanere a Montecassino) e tutti i civili che avevano trovato riparo in abbazia dopo i bombardamenti alleati del settembre precedente.

Tuttavia, mentre alcune casse con i documenti dell’Archivio e i libri della Biblioteca giunsero a destinazione – cioè a Roma – che la gran parte di esse fu trasportata in una villa nei pressi di Spoleto.

«La situazione – scrive D. Mariano Dell’Omo – era davvero problematica: per un verso il trasporto segreto dell’archivio e della biblioteca a Colle Ferreto presso Spoleto era un fatto che lasciava adito a seri dubbi ed interrogativi, data la fiducia (sia pure obbligata) che l’abate Diamare e i monaci avevano riposto nei militari della Divisione Göring operanti nello sgombero di Montecassino; per un altro verso il trasporto, il salvataggio di persone e beni grazie ai viaggi verso Roma avvenivano ancora in quelle ore sotto ,l’egida e la garanzia formale oltre che l’aiuto materiale dei soldati germanici» .
Del trasporto del prezioso materiale erano stati informati sia la Segreteria di Stato Vaticana che il Ministero dell’Educazione Nazionale, mentre per avere notizie sulla sorte delle casse trasportate nei pressi di Spoleto – su cui regnava grande incertezza – furono contattati l’Istituto Archeologico Germanico di Roma e la Sicherheitsdienst (SD), l’Ufficio tedesco per la tutela dei monumenti e delle opere d’arte nei paesi occupati. Un sopralluogo a Colle Ferreto da parte di rappresentanti di queste due istituzioni tedesche rassicurò tutti sulla presenza in loco del materiale e della sua prossima restituzione. Fu così che «l’8 dicembre a Roma davanti a Castel S. Angelo avvenne la consegna dei tesori di Montecassino (128 capsule o “tiretti” aperti contenenti documenti, 26 casse racchiudenti codici, 235 casse recanti stampati della Biblioteca Monumentale)» .

Ma non tutto quello che era stato trasportato nei pressi di Spoleto fu riportato a Roma in quell’occasione. Ad esempio, le opere dei Musei di Napoli che erano state depositate a Montecassino furono consegnate in pompa magna alle autorità italiane, a Piazza Venezia il 4 gennaio 1944.
A preoccupare, tuttavia, fu la scoperta che alcune opere d’arte – scelte appositamente da un esperto d’arte che lo stesso Hermann Göring, Maresciallo del Reich, aveva inviato a Spoleto a visionare i dipinti ivi custoditi – avevano preso la via della Germania . Questo fatto contribuì ad alimentare le perplessità circa la reale intenzione del salvataggio delle opere d’arte custodite a Montecassino. Lo stesso Cap. Maximilian Becker, nel suo Memorandum, rievoca il dubbio che, nel dopoguerra, si era andato diffondendo e aveva preso piede, e cioè «se alla base del trasferimento di Biblioteche, Archivi ed altri tesori artistici, vi fu l’intenzione di un autentico salvataggio, o non si sia piuttosto trattato di una depredazione di tesori artistici, compiuta sotto la maschera della protezione, dal momento che, dopo la consegna del grosso dei beni trasportati alle competenti autorità di Roma, si era costatato che una parte di essi era sparita e irreperibile, ma a guerra terminata fu ritrovata in una miniera di sale in Austria [ad Altausse, piccolo paese delle Alpi austriache], immagazzinata e indenne. Questa parte fu poi esposta a Roma come “bottino di guerra nazista” e costituì la conferma del supposto furto di opere d’arte. Chi – si chiede – era in grado provare il contrario? O aveva il coraggio di controbattere a interpretazioni erronee?» .

Purtroppo, furono fattori umani derivanti da bramosia insaziabile (non si dimentichi che Göring era un “razziatore” di opere d’arte) a portare alla sottrazione di quelle opere d’arte che presero la via di Berlino. Fortunatamente, però, le opere “trafugate” dal deposito presso Spoleto furono ritrovate nel dopoguerra ad Altausse, un paesino delle Alpi austriache, in una miniera di sale usata come caveau, nella quale erano state ammassate centinaia e centinaia di opere d’arte destinate ad abbellire il gigantesco Museo intitolato a Hitler, che sarebbe dovuto sorgere nella sua città natale di Linz, in Austria.

Come è noto, si poté rientrare in possesso di quelle opere grazie alla determinazione morale e intellettuale del Direttore della miniera. Fu lui, infatti, ad assumersi la responsabilità di contravvenire agli ordini di Hitler di far saltare il deposito, limitandosi a far esplodere solamente l’ingresso, sigillando in tal modo l’accesso alla miniera. E fu così che le opere poterono essere ritrovate e recuperate, e la loro “restituzione” resa possibile.

Possiamo ben dire che in questo caso una retta coscienza e un acuto senso di responsabilità nei confronti di un inestimabile patrimonio dell’umanità hanno prevalso sulla mera e pedissequa messa in atto di nefandi ordini superiori. Si tratta sicuramente un bell’esempio di rettitudine!
Al di là, comunque, del trafugamento di quelle opere che raggiunsero Berlimo, resta il fatto che la Biblioteca, l’Archivio e le opere d’arte conservate a Montecassino furono salvate da sicura distruzione. E questo – al di là di alcuni aspetti biasimevoli dell’intera faccenda – va riconosciuto, rimane un dato incontrovertibile: «Contra factum non valet argumentum».

La sottrazione di beni artistici dalla distrutta abbazia di Montecassino
Un discorso a parte merita la questione degli oggetti trafugati da Montecassino, dopo il bombardamento del 15 febbraio 1944, come “bottino di guerra” e souvenir. E se in maniera limitata lo fecero anche i tedeschi, furono soprattutto le truppe alleate, particolarmente quelle del Commonwealth, ad essere attive nell’asportare quanto riuscivano a recuperare sotto le macerie.

Ancora oggi, a distanza di oltre settant’anni, evidentemente sotto il pungolo della coscienza, vengono restituiti da parte dei parenti dei soldati che combatterono a Montecassino, oggetti prelevati dalle rovine della distrutta abbazia: candelieri, frammenti lignei o marmorei, cartoline, quadri, calici, etc.
Il gesto più significativo e commovente fu senza dubbio la restituzione nel dopoguerra della tela di Paolo De Matteis riproducente l’Assunzione della Vergine Maria, e che fungeva da pala d’altare nell’omonima cappella. Grazie alla sua restituzione, essa costituisce l’unica tela sopravvissuta tra quelle presenti nella Basilica Cattedrale di Montecassino. A trovarla tra le macerie fu il pittore militare Herbert Agricola che aveva ricevuto l’incarico di ritrarre la distrutta abbazia all’indomani del bombardamento. Lì, tra le macerie, trovò, malconcia e semi-strappata, la tela dell’Assunta. Lo stesso Herbert Agricola descrive nel suo Memoriale ciò che aveva provato in quel momento: «“Si deve… è lecito… si può salvare da sicura rovina un’opera d’arte di questa specie? Una tale pericolosa situazione autorizza il rischio?” Io pensai ed agii come lo può fare un pittore» . Egli si era dunque posto il problema di coscienza – e dunque la domanda sulla eticità o meno di quello che stava compiendo – e lo risolse sul filo della retta intenzione, quella che lo avrebbe poi portato a restituire l’opera appena gli fosse stato possibile. Di quella tela del De Matteis – che rocambolescamente trovò sistemazione in un casale del Sud Tirolo durante la ritirata dei militari Tedeschi – rientrò in possesso di Herbert Agricola solo alcuni anni dopo la guerra. Egli si premurò di spedirla a Montecassino dove, una volta restaurata, ritrovò il suo posto, nella ricostruita cappella dell’Assunta.

Casi cronologicamente a noi più vicino di restituzione sono: un frammento di tarsia marmorea proveniente dalla lastra che ricopriva il Sepolcro dei Ss. Benedetto e Scolastica (e che si trovava nel Museo di Aquino); diversi frammenti di fine fattura del coro ligneo della Basilica Cattedrale (due pezzi prelevati da soldati neozelandesi, uno da un soldato tedesco).

In qualche caso, là dove si trattava di oggetti appartenuti alla Comunità monastica, una volta venutane la conoscenza, quest’ultima non ha richiesto la restituzione; ad esempio: un calice di modesta fattura che – portato negli Stati Uniti da un soldato americano – veniva tuttora utilizzato in una chiesa cattolica; un piatto di porcellana con lo stemma del “Collegio S. Benedetto” di Montecassino, che i possessori che lo avevano ereditato erano disposti a restituire a Montecassino, ma che ora si trova esposto in un Museo della Nuova Zelanda.

Ultimamente, infine, ci è giunta una nota informativa da parte del Nucleo Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale Italiano (NCTP), che ci informava circa una “campanella” (probabilmente da tavolo) che stava per andare all’asta presso la Casa d’Aste londinese Sotheby’s, con tanto di luogo di provenienza: Montecassino.

Desidero terminare con le parole del famoso pittore spagnolo Francisco Goya, scritte in una sua acquaforte e acquatinta realizzata nel 1797 e facente parte di una serie di ottanta incisioni chiamata I capricci: «El sueño de la razón produce monstruos – Il sonno della ragione genera mostri».

Perché si possa effettivamente perseguire il bene, infatti, è necessario che la ragione non si assopisca, ma si allei con una coscienza viva e un altrettanto vivo senso della verità e della giustizia. Quand’è così, anche in situazioni difficili e gravose come quelle generate dalla malvagità e dall’odio fraterno è possibile attivare percorsi virtuosi o rigenerare sentimenti di resipiscenza e di rettitudine che aprano la strada ad un’etica comportamentale, dove anche l’etica della restituzione trova il suo humus.