“Facciamo nostro il modo di parlare e di guardare di Gesù, la sua capacità di ascolto, il suo cuore”: l’Abate Donato nella domenica di Corpus Domini a Montecassino
Solennità del SS. Corpo e Sangue di Cristo
Tutte e tre le letture proclamate in questa solennità parlano di «alleanza», di patto, ossia di un legame di comunione che Dio ha sempre desiderato instaurare con l’umanità. Questo legame di comunione, che nell’Antico Testamento o Antica Alleanza era sancito col sangue degli animali sacrificati (cfr. 1ª lettura: Esodo 24,3-8), diventa completo e definitivo con la Nuova Alleanza instaurata da Gesù sulla croce. L’alleanza eterna stipulata da Dio per l’umanità passa, infatti, attraverso il sacrificio del suo Figlio, la sua Passione e morte di croce.
Un Dio che si dona
Il racconto dell’ultima cena, proclamato poc’anzi nella versione dell’evangelista Marco (cf. Mc 14.12-16.22-26), ci mostra Gesù che prende il pane, recita la benedizione su di esso, lo spezza e lo dà ai suoi discepoli dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prende un calice e dopo aver reso grazie lo dà loro da bere aggiungendo: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti». Con quel duplice gesto e quella duplice consegna Gesù ha simbolicamente anticipato la sua morte in croce, evidenziando ciò che l’ha motivata: il “dono di sé”.
Gesù si è donato all’umanità, a ciascuno di noi, con un atto d’amore gratuito e totale. Non ha tenuto per sé neppure il suo corpo, ma lo ha dato per noi spargendo il suo sangue perché fossimo salvati grazie alla sua morte redentrice. Così facendo Gesù ci ha dimostrato che Dio è puro dono perché puro amore, e che perciò anche per noi – sue creature – il sigillo di autenticità della nostra esi¬stenza risiede nel “dono di sé”. Come a dire che chi non dà la sua vita e si rinchiude in sé stesso non vive veramente, perché non esprime ciò per cui la vita ci è stata data. Ma come è possibile fare della nostra vita un dono? Ci è venuto in aiuto lo stesso Gesù con l’istituzione dell’Eucaristia durante la sua ultima cena pasquale.
«Prendete! Questo è il mio corpo… questo è il mio sangue»
Innanzitutto, in quell’imperativo “prendete!”, vi è il desiderio impellente di Gesù di diventare una cosa sola con noi, di permettere alla sua vita di scorrere nella nostra – come il sangue nelle vene appunto – e di modellarla a sua immagine.
In quel pane e in quel vino che, in ogni Eucaristia, in ogni Messa, vengono consacrati sull’altare, è racchiuso e riproposto il mistero della passione, morte e risurrezione di Gesù. Nel miracolo dell’Eucaristia Gesù continua a venirci incontro col dono di Sé. Ogni qualvolta noi partecipiamo all’Eucaristia e riceviamo la comunione è come se gli aprissimo la porta della nostra vita e gli permettessimo di entrare e abitare in noi. Sì, pur riconoscendoci indegni, il Dio-Amore, sotto le specie del pane e del vino, continua a “cercare casa” in ognuno di noi, perché sa che abbiamo bisogno di Lui e della forza del cibo eucaristico per affrontare quotidianamente il cammino della vita.
Nell’eucaristia Gesù ci assimila a Sé
Nutrendoci del corpo di Cristo noi entriamo in profonda comunione di vita con Lui. Al riguardo, sant’Agostino affermava: «Vos estis quod accepistis – Voi siete quello che avete ricevuto/assunto».
Anche se nel ricevere la comunione sacramentale siamo noi ad assimilare materialmente il corpo di Cristo, in realtà è Lui, il Cristo, ad assimilare noi. Sempre sant’Agostino fa dire a Gesù: «Non sarai tu che assimilerai me a te, ma sarò io che assimilerò te a me». Nella comunione eucaristica è Gesù che ci trasforma in Sé, ci fa partecipare alla sua vita divina, alla sua comunione col Padre nello Spirito Santo. Ne consegue che nostro dev’essere anche il suo modo di a¬mare, di solidarizzare ed entrare in comunione con gli altri, di gioire e di piangere con essi; il suo modo di parlare e di guardare, i suoi ge¬sti, la sua capacità di ascolto, il suo cuore.
La chiesa Corpo di Cristo in terra
Nella sala al piano superiore della casa in cui sarà imbandita l’ultima cena pasquale che Gesù condividerà con i suoi discepoli, questi ultimi, che rappresentano la Chiesa nascente, riceve il dono ineffabile dell’Eucaristia. Come i discepoli di allora, i credenti di tutti tempi che celebrano insieme l’Eucaristia, sperimentano il misterioso vincolo che, in Cristo Gesù e nella forza del suo Spirito, li unisce a Dio in maniera inedita e misteriosa. Quel Gesù che si fa presente sotto le specie del pane e del vino e fa dei suoi discepoli – che si nutrono di Lui – un solo corpo e un solo spirito, nello stesso tempo crea tra di loro dei legami fraterni improntati al suo amore. Non possiamo non amarci, noi che ci nutriamo del medesimo Cristo!
Se prendere il corpo di Cristo e bere il suo sangue significa partecipare alla sua vita divina e sperimentare l’amore vicendevole, anche il nostro modo di essere nel mondo è chiamato ad avere questa impronta. Cibarci dell’Eucaristia deve, infatti, spingerci a riproporre la logica dell’amore e del “dono di sé” – quelli che Gesù ci ha insegnato – non solo all’interno della Chiesa, ma anche nei confronti dell’umanità intera. Anche in essa, soprattutto nei più deboli ed indifesi, è presente la carne di Cristo che ci viene incontro perché noi l’accogliamo.
Il corpo di Cristo non si fa presente solo sull’altare quando celebriamo l’Eu-caristia, ma anche sull’altare della vita di ogni giorno, là dove siamo chiamati mostrare la nostra prossimità e a farci dono non solo a chi ci sta accanto, ma anche ai nostri fratelli e sorelle poveri, ai piccoli, agli anziani, agli ammalati, ai diversamente abili, alle persone sole, abbandonate, disperate, ai forestieri: «Quello che avete fatto a uno di questi piccoli l’avete fatto a me» (cf. Mt 25,40).
Che questo miracolo del dono di sé stessi si compia anche in noi. E così sia.