La famiglia degli Oblati di Montecassino diventa da oggi più numerosa
Una Basilica Cattedrale molto gremita in questa seconda domenica di Avvento che ha visto l’oblazione di Maria, Rita, Rosario e Agostino che entrano a far parte della già numerosa famiglia degli oblati di Montecassino, portando a coronamento un cammino iniziato nel luglio del 2019.
Dopo la Celebrazione Eucaristica, nella sala capitolare, Paola e Giuliano con la benedizione dell’Abate Donato hanno iniziato il loro percorso che porterà anche loro verso l’oblazione secolare. Per loro in dono la Medaglia di San Benedetto che li accompagnerà nel loro cammino nel mondo da laici, nel nome di San Benedetto.
II Domenica di Avvento – Anno C
Lc 3,1-6
1Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilene, 2sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. 3Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, 4com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
5Ogni burrone sarà riempito,
ogni monte e ogni colle sarà abbassato;
le vie tortuose diverranno diritte
e quelle impervie, spianate.
6Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!
Il brano evangelico odierno esordisce in modo così solenne che ci si aspetterebbe una conclusione analoga, cosa che invece non accade. Si nominano, infatti, l’imperatore Tiberio, i potenti di turno che in quel tempo governavano la Palestina, Ponzio Pilato, Erode, Filippo e Lisània, le massime autorità religiose, i sommi sacerdoti Anna e Caifa, dopo di ché il paragrafo si conclude con una scena posta nel deserto: «la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto». Ciò che sembra, appunto, stridere con la solennità che precede.
È come se improvvisamente la grande storia – rappresentata dal potere politico e religioso del tempo – fosse ridotta a una semplice cornice, e l’attenzione venisse spostata su quest’uomo di nome Giovanni che vive nel deserto. Sulle prime parrebbe una conclusione insignificante, se non fosse che al centro di quella scena, più che Giovanni, vi è la Parola di Dio che scende su di lui.
Da qui traiamo la prima considerazione: la Parola di Dio è sovrana, è al di sopra del tempo e della storia, e tuttavia, da quando si è fatta carne nel Figlio Gesù, essa continua a incarnarsi nella storia per saldare il mondo dell’uomo con quello di Dio. Ma lo fa in totale libertà, senza lasciarsi intrappolare da prospettive mondane e scevra da logiche di potere Nel caso specifico, la Parola di Dio non scende dunque sull’establishment politico e religioso, ma viene su questo asceta che vive nel deserto, Giovanni il Battista, chiamato ad essere il precursore e il testimone del Signore Gesù.
E poi – e questa è la seconda considerazione – la Parola di Dio non sembra aver bisogno di grandi profeti che attirino l’attenzione della macro-storia o – diremmo noi oggi – dei media. Ha piuttosto bisogno di profeti piccoli e quotidiani, che si impegnano a incarnare il Vangelo di Gesù nella vita di ogni giorno, attraverso parole e gesti apparentemente semplici e ripetitivi, ma che diventano la spazio ordinario e insostituibile della loro testimonianza. Se così è, allora, quell’espressione: «la parola di Dio venne su Giovanni» comprendiamola come se fosse rivolta a ciascuno di noi, perché anche noi siamo chiamati ad essere profeti di Gesù là dove viviamo, dove lavoriamo, dove gioiamo, dove soffriamo.: nella vita di ogni giorno.
Se solo pensassimo quante volte – da quando abbiamo cominciato ad essere coscienti delle implicazioni del nostro battesimo – la Parola di Dio è scesa su di noi! E se a volte avrà trovato un cuore docile e accogliente, a volte ne avrà trovato uno desertificato che non le ha permesso di prendervi dimora, di germogliare e di crescere. A volte avrà lenito il nostro dolore o consolato la nostra miseria. A volte, forse, avrà intercettato e ridestato i moti più belli e generosi del nostro animo che forse si erano assopiti, rendendoci voce che grida al mondo la presenza di Cristo nella nostra vita e nella vita del mondo.
Come per Giovanni, anche la nostra chiamata consiste nell’essere voce di Gesù. Come? Preparandogli le strade, come ci ha ricordato ila citazione tratta dal profeta Isaia. Ma per fare questo occorre che ci lasciamo afferrare e conquistare dalla parola di Dio, affinché possa intridere di sé le nostre parole, e soprattutto le nostre azioni.
Ecco allora il primo compito per casa, un compito quotidiano: dare concretamente un po’ del nostro tempo alla Parola di Dio, rendendo normale, quotidiano appunto – come lo è il respiro che ci tiene in vita – il contatto con essa. Quella del Signore è una parola esigente, ma ci apre alla vera vita. E perché possa entrare nel nostro cuore e abitarlo, è necessario creare uno spazio di salutare deserto dentro di noi, dove, nel silenzio e nell’umile raccoglimento, questa Parola possa essere accolta e suscitare il nostro gioioso assenso. Nel contempo, essa ci invita a lavorare sulla mappa interiore delle nostre ferite e delle nostre incoerenze che rischiano di ostacolarne l’efficacia; bisogna che riempiamo i burroni delle nostre pigrizie e delle nostre debolezze, e che abbassiamo i colli e i monti della nostra autosufficienza e del nostro orgoglio.
Quest’oggi due nostre sorelle e due nostri fratelli faranno la loro Oblazione come Oblati secolari del nostro monastero. Sono Maria Palma, Rita, Rosario e Agostino. Dopo un percorso di alcuni anni hanno scelto di rinforzare la propria vita spirituale alla luce della Regola di S. Benedetto, nell’ascolto della Parola di Dio, che alimenta il dialogo con il Signore nella preghiera e anima l’impegno nel lavoro.
Carissimi Maria Palma, Rita, Rosario e Agostino, la Parola di Dio che ci è stata rivolta quest’oggi sia la bussola della vostro cammino di Oblati. Lasciate che essa venga su di voi, ponetevi volentieri in ascolto di quello che vorrà dirvi, abitatela come se fosse la vostra casa, entrando ed uscendo con dimestichezza dalle parole di vita che essa sembra ci offre. Fatene il luogo dove comprendere la volontà del Signore su di voi e sperimentare l’inenarrabile dolcezza del suo amore (RB, Prol. 49).
Non scordatelo: è nell’ascolto della Parola di Dio che ciascuno di voi potrà «vivere in un modo particolare quella vigile ricerca di Dio di cui parla la Regola di S. Benedetto (RB 58), scoprendo ogni giorno con gioiosa sorpresa di essere da Lui cercato e atteso (…) dilatando il proprio cuore nell’attesa paziente e amorosa, per testimoniare (…) nelle situazioni e nelle scelte quotidiane di vita il volto di Dio» (Statuto degli Oblati Benedettini III,14). Non ultimo – nell’ottica del preparare la via del Signore – non dimenticate che la «parola di Dio ascoltata, meditata e pregata, determina il cammino di conversione (cfr. RB, Prol. 1) e la lotta spirituale contro il male» (Statuto III,16).
Terminiamo con un ultimo pensiero, che ben si accorda all’Oblazione che state per fare. Lo traiamo dalla seconda lettura, la Lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi, la quale ci invita ad elevare al Signore la preghiera di intercessione che, tra le varie forme di preghiera, è quella in cui si manifesta maggiormente la dimensione della gratuità e l’assenza di qualsiasi ripiegamento su di sé.
Ma per chi e per che cosa l’Apostolo Paolo ci invita a pregare? Innanzitutto, siamo esortati a pregare con gioia per quanti condividono il nostro cammino di fede e il nostro impegno ad essere testimoni del Vangelo nel mondo. Grazie alla preghiera, con la quale ci affidiamo reciprocamente al Signore affinché porti a compimento ogni nostro buon proposito, non ci sentiamo soli; al contrario percepiamo il sostegno e la forza che ci provengono dal sentirci in comunione gli uni con gli altri, membra dell’unico Corpo di Cristo che è la Chiesa.
In secondo luogo, siamo invitati a pregare perché la nostra carità cresca sempre più in conoscenza e in discernimento, ossia assomigli sempre di più al modello che Cristo Gesù ci ha lasciato attraverso l’offerta di sé stesso. Nella misura in cui anche la nostra carità sarà espressione del dono di noi stessi – prima ancora che del dare qualche cosa – allora anche la nostra piccola testimonianza non mancherà di lasciare dietro di sé una piccola scia di luce e di amore in grado di lasciar trasparire la presenza salvifica di Gesù che continua ad operare nel mondo. E così sia.