Alan Bee a Montecassino, il Vernissage della mostra
Sabato 12 settembre alle 16.00 nel chiostro della Chiesetta di S.Anna all’interno del museo dell’Abbazia di Montecassino, si è svolto il Vernissage della quarta mostra consecutiva nell’ambito del progetto “Montecassino 529/2029” anno in cui, il 2029, saranno 1500 anni dalla fondazione dell’Abbazia ad opera di San Benedetto.
“Lavorare Insieme. L’operosità delle api e il labora benedettino”, questo il titolo della mostra che a partire da domani sarà visitabile nel museo abbaziale fino a domenica 29 ottobre. Durante il vernissage si sono susseguiti gli interventi dell’Abate Luca e del Prof Roberto capitanio curatore della mostra.
L’artista
Alan Bee è lo pseudonimo di un noto industriale e uomo di finanza tedesco nato a Karlsfeld 1940 e morto a Monaco di Baviera nel 2018. Per decenni Bee ha accompagnato alle proprie attività ufficiali, oltre che il collezionismo d’arte, una passione segreta e intensa per la pittura. Per sua disposizione, ha autorizzato che la diffusione delle proprie opere avvenisse soltanto dopo la sua scomparsa, continuando a mantenere un rigido riserbo sulla sua vera identità.
Alla passione per la pittura Bee ha sempre affiancato anche quella per le api e il loro mondo. Amante della natura della sua Baviera, influenzato in giovane età dalle esperienze di Joseph Beuys con il miele, le ha mediate con il senso profondo dei materiali e delle inserzioni oggettuali traendone risultati del tutto sorprendenti.Come è facilmente intuibile, lo pseudonimo Bee allude alla passione dell’anonimo tedesco per le api e per il loro affascinante mondo. Un interesse, quello per l’alveare – inteso anche come luogo di cooperazione per un lavoro intenso e sistematico –, che trova la sua rivelazione sulla tela, manifestandosi con la ripetizione del modello esagonale del favo. Ma il ragionamento di Bee non è circoscritto soltanto al perimetro fisico della superficie dipinta ma abbraccia l’intera comunità artistica e il suo dover crescere compatta e solidale grazie al nutrimento che l’arte stessa può fornire.
L’Abate di Montecassino, Dom Antonio Luca Fallica
“Come ben sappiamo, questa mostra di arte contemporanea, che si colloca dentro il percorso museale della nostra Abbazia, si inserisce in un cammino a tappe verso il 2029, anno in cui celebreremo i 1500 anni della fondazione di Montecassino.
Secondo la tradizione, infatti, san Benedetto giunge qui da Subiaco nel 529, con i suoi primi compagni, dando vita a un’avventura spirituale, ma anche umana, culturale, sociale, che, pur attraversando e spesso subendo i drammi della storia, ancora oggi ci testimonia la fecondità della sua intuizione e della sua ricerca. In questo intrecciarsi tra la nostra attualità e questa storia ultramillenaria sta anche il senso, credo, di una mostra di arte contemporanea dentro un museo che attesta, con innumerevoli e molteplici testimonianze, l’eredità del passato. Un’eredità non morta, ma ancora viva, attuale, e perciò capace di dialogare, di interrogare e di lasciarsi interrogare da chi, come Alan Bee, è testimone e protagonista della ricerca artistica contemporanea.
Tornando al nostro percorso di avvicinamento al 2029, Roberto Capitanio, insieme all’abate Donato, hanno scelto di percorrerlo sostando ogni anno su un episodio della vita di san Benedetto qui a Montecassino, come viene narrata da san Gregorio Magno nel II Libro dei Dialoghi, e scegliendo, ogni anno, un artista, o un gruppo di artisti, che con la loro creatività potessero dare immagine e significato a quanto raccontato dal grande papa. In questo modo vita e arte si intrecciano in modo sapiente, illuminandosi vicendevolmente.
Ricordo brevemente il cammino già compiuto: nel 2019 è stato commentato il motto di Montecassino, Succisa virescit, mettendo in luce «la forza della rinascita». Nel 2020/2021 abbiamo sostato sull’esperienza di Benedetto che ritorna alla sua solitudine dopo l’esperienza fallimentare di Vicovaro, così che «abitò con se stesso», scrive papa Gregorio. Lo scorso anno, il 2022, è stato dedicato all’episodio del masso inamovibile, che con la sua staticità diabolica impediva la costruzione di alcuni locali del monastero.
Quell’episodio è narrato al capitolo nono del Secondo libro dei Dialoghi. Quest’anno compiamo un piccolo salto, non ci soffermiamo sul capitolo decimo, ma andiamo all’undicesimo, nel quale papa Gregorio racconta di come l’uomo di Dio Benedetto ridoni vita a un giovano monaco schiacciato dalle macerie di una parete crollata. Leggo il racconto di san Gregorio Magno:
Un’altra volta i monaci stavano sopraelevando una parete perché l’edificio lo esigeva e l’uomo di Dio se ne stava chiuso nella sua stanzetta, intento all’orazione.
Gli si fece innanzi, beffardo, l’antico nemico e lo avvisò che stava per andare a fare una visitina ai monaci al lavoro.
Colla massima celerità l’uomo di Dio mandò di corsa uno dei suoi ad avvisare i monaci: “Fate attenzione, fratelli: sta arrivando proprio adesso il maligno!”.
Il messo non aveva neanche finito di parlare che il maligno spirito, rovesciando la parete in costruzione,
aveva seppellito e schiacciato sotto le macerie un piccolo monaco, figlio di un impiegato di curia.
Pieni tutti di grave costernazione e tristezza, non per la parete crollata ma per il giovane monaco schiacciato,
si affrettarono a dare con lacrime di profondo dolore la notizia al venerando Padre Benedetto.
“Andatelo a prendere e portatemelo qui!” ordinò il Padre. Ma non fu possibile trasportarlo se non sopra una coperta,
perché i sassi della parete precipitata non solo gli avevano pestato la carne, ma anche schiacciate le ossa.
L’uomo di Dio lo fece deporre nella sua stanzetta sopra la stuoia dov’egli soleva pregare;
poi licenziato i fratelli chiuse la porta e si buttò in ginocchio a pregare con una insistenza come mai aveva fatto finora.
Ed ecco il miracolo! Entro la stessa ora egli rimandò al lavoro il fanciullo sano e robusto come prima,
perché insieme agli altri monaci terminasse la costruzione della parete.
A me pare che il significato di questo episodio sia più profondo che non il ridare vita al giovane monaco rimasto coinvolto nel crollo della parete. Infatti, non solo san Benedetto lo risuscita, ma subito lo rimanda a lavorare perché insieme agli altri monaci terminasse la costruzione della parete. C’è un lavoro da portare a termine, c’è una parete da costruire, ma soprattutto viene sottolineato che occorre farlo insieme. Il fanciullo viene restituito alla vita, sano e robusto come prima, ma per essere di nuovo consegnato alla comunione con gli altri suoi fratelli monaci.
Anche a quella comunione che si esprime e si realizza nel lavorare insieme. Il diavolo, l’antico nemico come lo definisce san Gregorio, non solo provoca la morte del fanciullo, ma in questo modo tenta di compromettere il lavoro comune, il poter lavorare insieme e insieme realizzare l’opera affidata. San Benedetto vince l’antico nemico non solo perché libera il monaco dalla morte, ma anche perché riesce a far prevalere le logiche della comunione su quelle della divisione.
Mi pare che si collochi qui un importante punto di contatto tra quanto san Gregorio Magno narra nel Secondo libro dei Dialoghi e l’opera artistica di Alan Bee. Come sappiamo, si tratta di uno pseudonimo, e non casuale ma fortemente evocativo: Bee in inglese significa ape, ed è proprio al mondo delle api, ai loro alveari, alla loro organizzazione perfetta e al loro lavoro fecondo che si ispira la creatività di questo artista. Chi lo ha conosciuto e ha scritto della sua arte, ha potuto affermare – e cito Flaminio Gualdoni – che «Alan Bee è partito da una constatazione diretta.
La comunità in cui si genera l’arte deve essere unita, operosa, solidale come quella delle api, dunque l’artista deve immedesimarsi con l’ape stessa e la sua opera deve essere insieme singolare, perché, con Weidlé, è “une mission à lui seul confiée”, ma il nutrimento da cui sgorga e che produce è comune e a tutti è destinato, è la quintessenza di una socialità consonante con i tempi e i ritmi della natura».
E questo è un tema squisitamente monastico e benedettino: così come l’ora è vissuto insieme, anche il labora esprime la necessità e la fecondità di una collaborazione condivisa. Si tratta di un messaggio che mi pare particolarmente urgente oggi, dove spesso le dinamiche autoreferenziali e individualistiche, addirittura narcisistiche, sembrano o pretendono di prevalere su quelle comunitarie e sociali.
L’arte è invece singolare ma anche comunitaria, perché è destinata a molti ed è generata da una comunità unita, operosa, solidale, come quella delle api. E qui peraltro si innesta un secondo tema, oggi di grande attualità e che Alan Bee sembra aver profeticamente anticipato di qualche decennio, come quello ambientale. Si tratta di lavorare insieme, e di farlo a partire da un ambiente da rispettare, da non violare o peggio violentare. Sappiamo come oggi la vita delle api sia messa a repentaglio dagli sconvolgimenti ambientali prodotti da noi umani. Quello che questa mostra sottolinea è il necessario capovolgimento dello sguardo: la natura, l’ambiente, il mondo delle api, non sono soltanto da rispettare e custodire; forse c’è qualcosa, o anche molto, da imparare da loro.”
Il curatore della mostra, Prof. Roberto Capitanio
“La biografia di Alan Bee è molto particolare ed è stata diffusa soltanto nel 2019, un anno dopo la sua morte. Peraltro siamo in presenza di uno pseudonimo perché Alan Bee non è il nome del famoso imprenditore che sta dietro alle opere che vedremo oggi esposte nel museo dell’Abbazia.
Nato in Germania nel 1940, grande collezionista e vero amante della pittura, Alan Bee aveva fatto di quest’ultima la sua passione segreta, dipingendo e lavorando per decenni lontano dalle dinamiche delle mostre e del mercato. La sua produzione artistica, però, per sua volontà testamentaria, è stata diffusa soltanto in seguito alla sua morte avvenuta, appunto, nel 2018.
Ecco perché solo recentemente il mondo dell’arte contemporanea ha potuto confrontarsi con una “novità” rimasta fuori campo e con la “voce” di un artista rivelatosi prolifico, che segretamente non si è mai allontanato dalle tendenze del contemporaneo, assorbendone alcuni aspetti formali che ritroviamo oggi in un lavoro unico nel suo genere.
Lo pseudonimo Bee, com’è possibile intuire, allude alla passione dell’anonimo tedesco per le api e per il loro mondo così affascinante. Un interesse, quello per l’alveare – inteso anche come luogo di cooperazione per un lavoro intenso e sistematico –, che trova la sua rivelazione sulla tela, manifestandosi con la ripetizione del modello esagonale del favo. Ma il ragionamento di Bee non è circoscritto soltanto al perimetro fisico della superficie dipinta ma abbraccia l’intera comunità artistica e il suo dover crescere compatta e solidale grazie al nutrimento che l’arte stessa può fornire.
C’è comunque da precisare che la presenza reale o metaforica delle api, dei favi, del loro nettare o della cera non è una prerogativa esclusiva di Bee, in quanto il suo amico Joseph Beuys aveva già realizzato due performances nel 1965 e nel 1977 ispirandosi, appunto al mondo delle api.
In ogni caso l’artista tedesco è riuscito a farne la sua cifra stilistica, assolutamente personale e riconoscibile, realizzando una serie di opere capaci di sostenere perfettamente quel senso di potenza che solamente gli elementi naturali possono comunicare.
Alan Bee non si limita, ovviamente, alla sola reiterazione geometrica della struttura portante dell’arnia in quanto il processo costruttivo delle sue opere è molto più concettuale e trascendentale. Impostando, infatti, il suo personale dialogo tra forme, colori, inserti oggettuali, crettature, colature e “bolle” ma soprattutto sfruttando la modularità della cella esagonale che egli intende come una vera e propria struttura portante riesce a trasmettere la metafora del processo evolutivo della natura e dei suoi organismi.
Dal punto di vista costruttivo le opere di Bee sono realizzate interamente a mano, quasi sempre su tavola, molte volte sovrapponendo strati formati da reti a maglie quadrate, e certamente da una decisa stratificazione di materia “cerea” o “viscosa”. Per questi motivi esse risultano essere molto materiche, pesanti e rigide.”
Modalità visita e orari
In chiusura di presentazione, prima di visitare la mostra insieme al curatore, un omaggio per tutti partecipanti: un vasetto di miele da parte della Cooperativa sociale Autentica che lo produce su terreni di proprietà dell’Abbazia.
La mostra di Alan Bee a Montecassino sarà visitabile fino al 29 ottobre 2023 negli orari di apertura dell’Abbazia. Il costo d’ingresso non varia rispetto al biglietto d’ingresso al Museo.