“Affidiamoci a Gesù affinché ci svuoti della nostra presunzione e ci riempia del suo amore che vivifica e salva”: l’Abate Donato nella Messa in Coena Domini a Montecassino
GIOVEDÌ SANTO 2021 – Messa in Coena Domini
«Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13,1). Con queste commoventi parole l’evangelista Giovanni introduce l’Ultima Cena di Gesù, stagliandola sullo sfondo dell’immenso amore che Egli nutre per i suoi discepoli. Se già durante il suo ministero pubblico Gesù aveva tradotto in parole ed opere il suo desiderio di introdurli nella via della vita – quella che rende felici e che conduce alla salvezza – ora Egli dimostra di non voler retrocedere di un millimetro in questo suo proposito, ma di voler continuare – anche di fronte alla morte che si profilava all’orizzonte – ad amare i suoi con tutto sé stesso.
L’amore di Gesù è un amore che non viene meno, un amore che dura per sempre, e non solo fino alla fine della sua esistenza, ma anche fino alle estreme conseguenze, quelle che, attraverso la sua morte sulla croce, gli consentiranno di raggiungere le pieghe più riposte e cancrenose della nostra umanità, lì dove il male e il peccato hanno deturpato la bellezza dell’immagine di Dio impressa in noi, per apportarvi vita nuova e salvezza.
Dio ama l’uomo «anche nella sua caduta – afferma Benedetto XVI – e non lo abbandona a se stesso. Egli ama sino alla fine. Si spinge con il suo amore fino alla fine, fino all’estremo (…). Depone le vesti della sua gloria divina e indossa le vesti dello schiavo. Scende giù fin nell’estrema bassezza della nostra caduta. Si inginocchia davanti a noi e ci rende il servizio dello schiavo; lava i nostri piedi sporchi, affinché noi diventiamo ammissibili alla mensa di Dio, affinché diventiamo degni di prendere posto alla sua tavola».
In virtù di questo suo amore inesauribile, un amore incandescente, che purifica e risana, Gesù non esita ad inginocchiarsi davanti alle nostre sporcizie perché, purificati da questo suo amore, possiamo elevarci fino a Dio, ed entrare in comunione con Lui. Il sacramento dell’Eucaristia produce proprio questo effetto: per pura accondiscendenza del Signore siamo resi partecipi della sua intimità e, santificati col suo corpo e del suo sangue, siamo coinvolti nel suo mistero di amore!
Rimane, però, la possibilità che questo amore venga rifiutato. Nelle parole: «Voi siete mondi, ma non tutti» (Gv 13,10), vi è proprio un’allusione all’oscuro mistero del rifiuto, che di lì a poco, dopo l’Ultima Cena di Gesù con i suoi, prenderà forma soprattutto nell’azione traditrice di Giuda, ma anche nel triplice rinnegamento di Pietro.
Per quanto paradossale possa sembrare, l’amore di Gesù – che non conosce limiti – può essere rifiutato, e dunque limitato nella sua efficacia, dall’uomo! Sì, noi, creature piccole e limitate per natura, abbiamo il potere di respingere l’azione purificatrice e redentrice dell’amore divino. Eppure, a ben pensarci, anche questo è un segno dell’immenso amore con cui Dio ci viene incontro: egli ci lascia liberi di accoglierlo o di rifiutarlo.
Il “non essere mondi” di cui Gesù parla nella pagina evangelica proclamata consiste dunque nel «rifiuto dell’amore, il non voler essere amati, il non amare. È la superbia che crede di non aver bisogno di alcuna purificazione, che si chiude alla bontà salvatrice di Dio. È la superbia che non vuole confessare e riconoscere che abbiamo bisogno di purificazione» (Benedetto XVI).
E allora, non ci resta che imboccare la via dell’umiltà, quell’umiltà che faceva difetto a Pietro il quale, nella sua sicumera, aveva risposto a Gesù: «Tu non mi laverai i piedi in eterno» (Gv 13,8). Lasciarci lavare i piedi significa accettare di consegnarci umilmente a Gesù affinché ci renda mondi, ossia ci svuoti della nostra presunzione e ci riempia del suo amore che vivifica e salva.
Tale azione purificatrice non si ferma, però, a noi stessi. Essa ci sollecita ad imitare l’esempio di Gesù: «Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13,14–15).
In concreto, lavarci i piedi gli uni agli altri significa offrirci vicendevolmente parole e gesti purificati e purificanti, che si facciano, cioè, portatori di quell’amore umile e servizievole di cui il Signore ci ha dato l’esempio. Ma significa, altresì, non perderci d’animo, e perseverare in questo atteggiamento anche quando incontriamo l’incomprensione e il rifiuto. Anche allora non dobbiamo smettere di supportarci, affidandoci alla forza e alla grazia del perdono – che dell’amore è l’espressione più limpida e pura –, quel perdono che è capace di rigenerare i nostri rapporti evitando che essi degenerino.
Gesù, nostro Signore e Maestro, aiutaci a fare come tu hai fatto a noi! E così sia.