“Chiediamo al Signore un cuore che sappia ascoltare, dialogare e discernere”: l’Abate Donato nel ‘Te Deum’ di fine anno
Te Deum 2021
Anche in questo 2021, che sta volgendo al termine, ci siamo ritrovati a doverci confrontare con l’emergenza sanitaria che continua ad essere fonte di ansia e di preoccupazione, influendo sul decorso delle nostre vite e generando una sorta di sospensione: da una parte ci siamo sentiti parzialmente deprivati di alcune nostre consuetudini e della nostra libertà di azione e di movimento, dall’altra abbiamo avvertito – anche se in misura diversa gli uni dagli altri – l’esigenza di concentrarci sulle cose essenziali e di essere meno succubi di una cultura che ci induce a consumare tutto, anche le relazioni e gli affetti.
Quante volte nelle nostre conversazioni abbiamo sottolineato l’importanza di recuperare valori che rischiano di scivolare inesorabilmente sul piano inclinato della superficialità e dell’indifferenza. E quante volte abbiamo stigmatizzato una visione volatile ed effimera della vita, dove a prevalere su tutto sono le emozioni, l’immagine che vogliamo dare di noi stessi agli altri, e la provvisorietà delle scelte, spesso appiattite sulla ricerca di gratificazioni istantanee, e perciò sganciate da valori o punti di riferimento che possano offrire un sicuro ancoraggio alla nostra esistenza.
Questa sera ci ritroviamo qui, come credenti, per innalzare, per prima cosa, la nostra lode al Signore e ringraziarlo per l’amore provvido e fedele con cui ci ha accompagnati e sostenuti lungo questo anno ormai trascorso. Tuttavia, con il canto del Te Deum, accanto all’umile certezza che il Signore non ci abbandona mai – neppure nei momenti tristi, segnati dalla prova o dal dolore – desideriamo anche rinnovare la nostra fede, rinvigorire la nostra speranza e incrementare la nostra carità. In fondo, ogni “fine” dovrebbe generare un “nuovo inizio”, un inizio che apre opportunità inedite, soprattutto se, dal punto di vista cristiano, sappiamo cogliere le sollecitazioni che lo Spirito Santo, con la sua creatività, ci rivolge per renderci più spediti lungo i sentieri, esigenti ma luminosi, del Vangelo di Gesù.
In particolare, per evitare la tentazione di rinchiuderci nel nostro bozzolo e di pensare solo a noi stessi – atteggiamento non raro quando attorno a noi le cose non sembrano mettersi per il meglio – lasciamo che lo Spirito di Gesù, lo Spirito dell’Amore, rafforzi il nostro desiderio di camminare insieme con i nostri fratelli e sorelle nella fede, e con chi incontriamo sul nostro cammino. Abbiamo bisogno di riappropriarci di relazioni genuine e di riassaporare la bellezza del prenderci responsabilmente cura gli uni degli altri, se vogliamo costruire comunità religiose e civili che siano “casa” e “scuola” di inclusione, di solidarietà, di condivisione e di comunione. Comunità, cioè, che siano luoghi in cui ci si sente a proprio agio – come a casa propria, appunto –, in cui si sperimentano la familiarità e la sincerità delle relazioni che in esso si intrecciano. E comunità che siano luoghi in cui non si smette mai di imparare alla scuola della vita, poiché, in definitiva, è essa che ci plasma come esseri umani, ed è sempre essa che, come credenti, ci aiuta ad incarnare la nostra fede cristiana nei solchi della quotidianità.
Sullo sfondo di questa duplice definizione di “casa” e “scuola” – e tenendo presente anche il “Cammino sinodale” che è stato avviato in tutta la Chiesa cattolica – vorrei riproporre alla nostra attenzione – a noi che guardiamo con fiducia e speranza al nuovo anno – alcune attitudini che sono indispensabili all’edificazione di comunità religiose o civili che siano caratterizzate da inclusione, solidarietà, condivisione e comunione. Si tratta, nello specifico, di tre attitudini: l’ascolto, il dialogo e il discernimento.
• L’ascolto
L’ascolto non consiste semplicemente nell’udire o sentire! Tante sono le cose che udiamo o sentiamo (pensiamo anche solo ai rumori) senza che esse lascino una traccia significativa dentro di noi. L’ascolto autentico è legato alla dimensione della profondità, a quel luogo invisibile – che è la nostra coscienza – nel quale, entrando in contatto con i moti più intimi del nostro essere, vagliamo quanto abbiamo ascoltato e ci appropriamo di ciò che riteniamo importante per la nostra vita. In tal senso, l’ascolto è un vero e proprio atteggiamento dello spirito, grazie al quale diamo un’impronta a quello che siamo e a quello che facciamo.
E poi l’ascolto è fondamentale per vincere l’indifferenza e giungere a intessere relazioni autentiche con gli altri, relazioni improntate all’accoglienza, al desiderio di conoscersi e di aiutarsi reciprocamente, relazioni – per noi credenti – capaci di tradurre concretamente il messaggio cristiano dell’amore.
«La prima cosa, nella comunicazione con l’altro, – afferma papa Francesco – è la capacità del cuore che rende possibile la prossimità (…). L’ascolto ci aiuta ad individuare il gesto e la parola opportuna (…). Solo a partire da questo ascolto rispettoso e capace di compatire si possono trovare le vie per un’autentica crescita, si può risvegliare il desiderio dell’ideale cristiano».
Non va, tuttavia, dimenticato che l’ascolto comporta un continuo tirocinio. Ad esso ci si educa, infatti, continuamente, poiché metterlo in atto richiede ogni volta daccapo un movimento di decentramento che ci permetta di spostare il baricentro dell’attenzione da noi stessi agli altri. Allora sì che l’ascolto non rimane monco, ma si trasforma in operatività e – alla luce della fede cristiana – cerca le modalità attraverso cui farsi carico di chi ci è accanto, soprattutto se nel bisogno. Questo è fondamentale quando ci poniamo in ascolto, ad esempio, del grido di tanti nostri fratelli e sorelle che vivono nell’indigenza e nella povertà, magari a pochi passi dalle nostre porte di casa.
Non crediamo che il nostro territorio ne sia esente. Anche da noi la pandemia ha non solo acuito le vecchie povertà (quelle che scaturiscono dalla carenza di mezzi economici), ma ne ha create di nuove, che non sono caratterizzate da una “condizione” o “stato” di vita, ma da “processi” che finiscono col condurre diversi nostri fratelli e sorelle ai margini della vita sociale o addirittura ad escluderli da essa. Quanti non riescono a pagare le utenze e a fare la spesa; quanti non sono in grado di provvedere ai bisogni e alle necessità dei propri bambini, degli anziani, dei malati o dei diversamente abili! E quanti vivono nella morsa della solitudine o del degrado, o subiscono violenze psicologiche e materiali! Ascoltiamo anche questi nostri fratelli e sorelle, se vogliamo che le nostre comunità siano davvero casa e scuola di comunione, perché quest’ultima non può sopportare che qualcuno ne rimanga escluso!
• Il dialogo
Intimamente collegato all’ascolto è il dialogo. La parola “dialogo” deriva dal greco diálogos, un termine composto dalla preposizione “dia”=attraverso, e dal sostantivo logos=parola/discorso. Il dialogo comporta dunque un confronto verbale che raggiunge e attraversa coloro che ne sono coinvolti, producendo uno scambio fecondo a livello di pensiero e, là dove esse sono più evidenti, cercando di evitare uno scontro fine a sé stesso e di realizzare, invece, una “convivialità delle differenze” (Tonino Bello).
Quel che importa, infatti, è che le differenze non diventino fonte di conflitti insanabili, bensì occasione di confronto rispettoso e sincero, che miri non ad imporre le proprie convinzioni, ma a far sì che a prevalere sia il bene di tutti. A questo dovrebbe concorrere anche la convinzione che «Nessun uomo è un’isola» (J. Donne), che, cioè, siamo tutti interconnessi, strettamente dipendenti gli uni dagli altri sia materialmente sia spiritualmente.
Se così è, il dialogo rappresenta allora una vera e propria palestra virtuosa nella quale esercitarci continuamente attraverso un confronto schietto, teso non tanto ad azzerare la diversità di vedute, quanto a comporle, tramite la ricerca di un punto d’incontro. Non si tratta, infatti, di raggiungere un’uniformità omologante, ma di sperimentare la diversità come fonte di crescita. E in tal senso il dialogo – soprattutto se vissuto nell’ottica evangelica – non coincide con la negoziazione:
«Negoziare – afferma papa Francesco – è cercare di ricavare la propria “fetta” della torta comune. (…) [dialogare] è cercare il bene comune per tutti. Discutere insieme, oserei dire arrabbiarsi insieme, pensare alle soluzioni migliori per tutti. Molte volte l’incontro si trova coinvolto nel conflitto. (…) E non dobbiamo temerlo né ignorarlo, ma accettarlo (…) e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo».
Allargando poi lo sguardo oltre i confini della Chiesa, e riferendosi esplicitamente alla costruzione della società civile, papa Francesco afferma che:
«dobbiamo sempre ricordare che non esiste umanesimo autentico che non contempli l’amore come vincolo tra gli esseri umani, sia esso di natura interpersonale, intima, sociale, politica o intellettuale. Su questo si fonda la necessità del dialogo e dell’incontro per costruire insieme con gli altri la società civile. (…) Il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà».
• Il discernimento
All’ascolto e al dialogo è, infine, strettamente collegato anche il discernimento, oggi diventato particolarmente necessario, dato che siamo confrontati con enormi possibilità sia di azione che di distrazione che ci vengono presentate come se fossero tutte valide e buone. Siamo, infatti, tutti esposti – e non solamente le nuove generazioni – a uno “zapping costante” (papa Francesco), e per questa ragione un sano discernimento si impone ancor più ai fini di una corretta prassi di vita.
Tuttavia, per noi cristiani esso non consiste in un mero risultato delle nostre capacità intellettive e della nostra abilità nel leggere, interpretare e comprendere la realtà dentro e attorno a noi. Anche se entra necessariamente in dialogo con tali capacità e abilità, il discernimento cristiano è un’operazione che – ancora una volta – ha come protagonista principale lo Spirito Santo. Se accolto e riconosciuto, esso ci introduce nel «pensiero di Cristo» (1Cor 2,16), ossia ci aiuta ad acquisire un “fiuto” particolare – che è poi quel senso cristiano della vita e delle cose – che ci consente di compiere le scelte giuste e di camminare alla luce del Vangelo.
Per questa ragione, quando facciamo discernimento, ossia «quando scrutiamo davanti a Dio le strade della vita, non ci sono spazi che restino esclusi. In tutti gli aspetti dell’esistenza possiamo continuare a crescere e offrire a Dio qualcosa di più, perfino in quelli nei quali sperimentiamo le difficoltà più forti. Ma occorre chiedere allo Spirito Santo che ci liberi e che scacci quella paura che ci porta a vietargli l’ingresso in alcuni aspetti della nostra vita. Colui che chiede tutto dà anche tutto, e non vuole entrare in noi per mutilare o indebolire, ma per dare pienezza. Questo ci fa vedere che il discernimento non è un’autoanalisi presuntuosa, una introspezione egoista, ma una vera uscita da noi stessi verso il mistero di Dio, che ci aiuta a vivere la missione alla quale ci ha chiamato per il bene dei fratelli» (papa Francesco).
In questo processo – che coinvolge la nostra vita psichica, razionale e spirituale – la Parola di Dio deve mantenere la sua centralità, poiché essa è «compagna inseparabile dello Spirito Santo» (Basilio di Cesarea), ed è ad essa, perciò, che deve sottostare il nostro discernimento.
Sorelle e fratelli carissimi, nel salutare il 2021 che sta tramontando, e nell’accogliere il nuovo anno che sta per iniziare, chiediamo al Signore
un cuore che sappia ascoltare, dialogare e discernere;
un cuore che sappia trovare il tempo di abbeverarsi alle cose importanti, essenziali, quelle che veramente contano;
un cuore che trovi il tempo per donarsi agli altri, soprattutto alle sorelle e ai fratelli più bisognosi, prendendosi cura delle loro pene.
Il tempo della nostra vita, infatti, è troppo corto per essere egoisti! E, soprattutto, il tempo che non viviamo come dono, fatto a noi e, tramite noi, agli altri, è un tempo che rimane vuoto, arido e infecondo.
Impegniamoci allora a far sì che il 2022 possa essere un anno colmo di quella luce, di quella pace, di quella gioia e di quell’amore che scaturiscono dal cuore stesso di Dio e che sono un segno del suo abbraccio misericordioso. Diventiamone testimoni credibili lungo tutto il nuovo anno.
Intercedano per noi la Beata Vergine Maria, Madre di Dio e Madre nostra, e i Ss. Benedetto e Scolastica. Buon Anno a tutti!