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“Il nostro rapporto personale con Gesù va sostenuto e corroborato tramite la partecipazione alla vita della Chiesa”: l’omelia dell’Abate Donato nella Domenica di Pasqua

Domenica di Risurrezione 2021

1ª lettura: Atti degli Apostoli (10,34a.37-43)
La prima lettura è tratta dal discorso che l’apostolo Pietro ha tenuto al centurione romano Cornelio e alla sua famiglia, in occasione della loro conversione alla fede cristiana. In esso Pietro tratteggia brevemente la figura e l’attività di Gesù, dal suo battesimo nel fiume Giordano fino alla sua morte in croce e alla sua risurrezione. E così facendo, ci addita anche il senso profondo del nostro essere cristiani, e ci indica lo stile con cui siamo chiamati a stare nel mondo.
Il senso profondo del nostro essere cristiani consiste innanzitutto nel nostro essere inseriti – attraverso il battesimo – nel mistero pasquale di morte e risurrezione di Gesù. Si tratta di un legame intimo con la sua persona, un rapporto a tu-per-tu che fonda la nostra fede e la rende viva, luminosa e operante.

Ma, e non va dimenticato, questo nostro rapporto personale con Gesù – necessario se vogliamo evitare che la nostra fede si affievolisca e muoia – va altresì sostenuto e corroborato tramite la partecipazione, soprattutto sacramentale, alla vita della Chiesa, che di Gesù risorto è l’estensione misteriosa nel tempo e nello spazio.

Quando Pietro dice a Cornelio e a quelli della sua casa che il Risorto si è manifestato ai discepoli mangiando e bevendo con loro, voleva appunto significare che l’Eucaristia è il momento culminante dell’incontro tra il Signore risorto e i suoi, il momento in cui i cristiani prendono coscienza del loro essere “Chiesa”, la quale, appunto, si edifica come comunità dei redenti proprio attorno all’Eucaristia, dalla quale prende slancio e vigore per camminare sulle vie del Vangelo e annunziarlo e testimoniarlo con gioia e con amore ai fratelli.
Il nostro essere credenti dev’essere poi accompagnato da un particolare stile con cui siamo chiamati a testimoniare al mondo e nel mondo il Cristo risorto, stile che è anch’esso rinvenibile in Gesù, nostro modello. Ce lo descrive l’apostolo Pietro quando dice che Gesù «passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo» (v. 38).

Ecco lo stile della nostra missione nel mondo: fare del bene e risanare, ossia operare in favore di tutto ciò che è buono, bello e vero, e risanare le ferite della nostra convivenza: là dove c’è incomprensione favorire l’incontro e il dialogo, là dove c’è contrapposizione e rancore portare pace e concordia; là dove c’è egoismo e disinteresse incoraggiare la solidarietà e la condivisione.

2ª lettura: Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (5,6-8)
Per indicare la novità di vita che deve caratterizzare il credente in Cristo, l’apostolo Paolo ricorre ad un’usanza anticotestamentaria (cf. Es 12,15) – tutt’ora in vigore presso i nostri fratelli Ebrei –, quella, cioè, di setacciare la casa, nella vigilia di Pasqua, alla ricerca di eventuali frammenti di pane o pasta fermentati. Tutto ciò che contiene del lievito era, infatti, considerato impuro, e quindi doveva essere eliminato in vista del pane pasquale, che è azzimo, ossia senza lievito.

Utilizzando questa immagine l’apostolo Paolo richiama l’impegno dei credenti ad essere creature nuove. Anche la presenza di un solo frammento di lievito vecchio, ossia di un sentimento egoistico e divisivo, o un atteggiamento dettato da malizia e da perversità, va a detrimento della comunità cristiana, poiché ne corrompe l’unità e la concordia, e ne soffoca la testimonianza.

Ciò che deve crescere nel cuore dei credenti – scrive Paolo – sono la sincerità e la verità, sulle quali intessere rapporti di fiducia, di comunione e di amore reciproco.

Vangelo: secondo Giovanni (20,1-9)
Nessuno, come si sa, è stato testimone oculare della Risurrezione, e per questa ragione l’evento in sé non ha potuto essere descritto dagli evangelisti. Ciò che, tuttavia, è rimasto percepibile e palpabile nel resoconto di questi ultimi è l’irruzione del Cristo risorto nella vita della comunità cristiana, la Chiesa nascente, la quale – superato il momento iniziale di delusione e scoramento dovuto alla morte Gesù sulla croce – “vede”, cioè comprende il significato del disegno di salvezza realizzatosi attraverso di Lui, e “crede”, ossia si affida alla potenza del Signore risorto che, sola, è in grado di rigenerare l’umanità aprendole prospettive nuove di libertà e di vita.

Pietro e Giovanni – ciascuno a suo modo – sono simbolo del credente di ogni tempo, ossia del credente che è chiamato ad appoggiare la sua fede sulla Sacra Scrittura, ma sono anche i testimoni delle tracce lasciate dal Signore risorto nel sepolcro, oltre che delle sue apparizioni, con le quali si mostrava vivo e incoraggiava il cammino della Chiesa.

Grazie a loro e a uno stuolo immenso di fedeli che ci hanno preceduto e che hanno fatto da anelli di congiunzione, anche noi “vediamo” e “crediamo”; anche noi, cioè, possiamo guardare oltre la routine della nostra quotidianità e lasciarci condurre innanzi dalla luce del Risorto, luce che è sempre con noi quale fonte inesauribile di gioia, di fede, di speranza e di carità. E così sia.