“Impegniamoci a cercare instancabilmente ciò che porta alla pace e edifichiamola nei solchi della nostra quotidianità”: l’Abate Donato a 78 anni dalla distruzione di Montecassino

L’Abate di Montecassino, S.E.Donato Ogliari, ha presieduto la Celebrazione Eucaristica per i 78 anni dalla distruzione di Montecassino.

Alla Celebrazione hanno partecipato numerose autorità non soltanto della Città Martire:
il Prefetto di Frosinone S.E. Ernesto Liguori, il Comandante Provinciale dei Carabinieri Colonnello Alfonso Pannone con il Tenente Antonio Sarno della Compagnia di Cassino, il Comandante Provinciale della Guardia di Finanza, Colonnello t.SFP. Cosimo Tripoli, con il Colonnello Salvatore Rapuano, Comandante del Gruppo di Cassino, il Vice Questore Dott.ssa Giovanna Salerno, Dirigente del Commissariato di Cassino e il Colonnello Valerio Lancia, Comandante dell’80° RAV Roma con il Sergente Maggiore Antonio Cangiano.

Il Sindaco di Cassino Dott. Enzo Salera , la Presidente del Consiglio Comunale, Dott.ssa Barbara Di Rollo e numerosi Assessori e Consiglieri della città martire. I Sindaci della Terra di San Benedetto

Anche i rappresentanti di alcune Associazioni e Banche del territorio insieme a Oblati di Montecassino e persone vicine all’Abbazia.
Presente anche una rappresentanza di studenti dell’Istituto San Benedetto di Cassino con la Dirigente Dott.ssa Nunzia Acierno.

Infine una folta rappresentanza della FUIS, Federazione Unitaria Italiana Scrittori, che nel pomeriggio ha poi tenuto un Convegno in città nell’ambito della Manifestazione ‘Scrittori Contro la Guerra’.

Una Basilica Cattedrale gremita, dunque, per questa Celebrazione che ha ricordato il bombardamento di 78 anni affinchè resti vivo il ricordo di ciò che è stato ma soprattutto per dare ancora più forza al messaggio di Pace che dall’Abbazia vuole arrivare in tutto il mondo.

78° ANNIVERSARIO DELLA DISTRUZIONE DI MONTECASSINO
15 febbraio 2022
(Gc 1,12-18 – Mc 7,14-23)

Qualsiasi guerra, anche quando uno dei due contendenti si aggiudica la vittoria, è sempre una sconfitta per tutti, innanzitutto per la perdita di vite umane causata, e poi perché genera sfiducia nella reale capacità dell’essere umano di trasformare questa «aiuola che ci fa tanto feroci» (Par. XXII,151) in un luogo di convivenza pacifica e di fratellanza universale.
È stato calcolato che da quando gli avvenimenti storici succedutisi lungo i secoli hanno cominciato ad essere documentati e registrati, nel mondo vi sono stati solamente 29 anni senza guerra. La stessa parola greca eirene, pace, ha il significato primario di intervallo/pausa, all’interno di quella che rappresenterebbe, invece, la condizione umana normale, e cioè la guerra. Dal canto suo, anche il termine latino pax, pur avendo un significato più positivo, in quanto suggerisce l’idea di un patto/accordo tra le parti belligeranti, lascia intendere che la guerra sia qualcosa di inevitabile, che ci accompagna sempre.

Da un lato non ci è difficile sottoscrivere questa convinzione. Basta guardarsi attorno. Nonostante le buone intenzioni e una maturata sensibilità nei confronti della pace, il mondo è ancora sfregiato da violenze e guerre di ogni genere. E speriamo che i venti di guerra che soffiano non lontano da noi non ne producano una di nuova!

Dall’altra, per noi cristiani ogni forma di violenza – non importa se piccola o grande – è sempre detestabile, e va contrastata con un impegno concreto per la pace che si verifica, in primo luogo, nell’assumere uno stile di vita quotidiano non-violento, radicato nell’amore cristiano. Del resto, la non-violenza insegnataci da Gesù – che, non dimentichiamolo, si spinge fino all’amore per i nemici (cf. Lc 6,27: «Amate i vostri nemici») – non ci esime dal combattere il male. Al contrario, nella logica dell’amore evangelico la non-violenza consiste esattamente nel rispondere al male con il bene, come esorta l’apostolo Paolo: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene» (Rm 12,21). Al riguardo Benedetto XVI scrive:

«La nonviolenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere della persona, l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità. L’amore del nemico costituisce il nucleo della “rivoluzione cristiana”, una rivoluzione non basata su strategie di potere economico, politico o mediatico. La rivoluzione dell’amore, un amore che non poggia in definitiva sulle risorse umane, ma è dono di Dio che si ottiene confidando unicamente e senza riserve sulla sua bontà misericordiosa. Ecco la novità del Vangelo, che cambia il mondo senza far rumore. Ecco l’eroismo dei “piccoli”, che credono nell’amore di Dio e lo diffondono anche a costo della vita».
Un esempio sublime di questo eroismo lo troviamo in tanti nostri fratelli e sorelle che, di fronte alle persecuzioni, non esitano ad offrire la propria vita, pur di rimanere fedeli al Vangelo e testimoniarlo!

E noi? Anche ciascuno di noi, nel proprio ambito, è chiamato ad essere un artigiano di pace e a testimoniare la potenza non-violenta dell’amore anche in mezzo alle avversità. Ma perché ciò avvenga occorre che ci purifichiamo da quelle sacche di violenza che, talora senza che ce ne avvediamo, sono presenti nel nostro cuore, nella nostra mente, nelle nostre parole e nelle nostre azioni.

Un noto monaco e scrittore del secolo scorso, Thomas Merton, diceva che la pressione causata dalla velocizzazione e dalla frenesia della vita moderna è già una forma – forse la più comune – di violenza, poiché la frenesia, la fretta del “tutto e subito” ci rende nervosi e neutralizza la nostra energia positiva, il nostro bisogno di fermarci e raccoglierci, di coltivare la nostra vita interiore alla luce della parola evangelica e della preghiera, che fungono da guida alla nostra ricerca di pace.
Dobbiamo convenire che spesso viviamo le nostre giornate rincorrendo una molteplicità di richieste, inerenti alla famiglia, ai figli, al lavoro, alle relazioni sociali, col conseguente accumulo di spossatezza e di ansia (spesso “da prestazione”), non di rado accresciute dal tempo che si spende alle prese con l’uno o l’altro strumento digitale.
Tra le conseguenze negative della velocizzazione, a cui siamo un po’ tutti sottoposti, rientra anche l’aggressività verbale. Quante parole divisive o sprezzanti vengono pronunciate e disseminate lungo l’arco di una giornata, soprattutto attraverso i social. E quante volte anche noi, di fronte ad affermazioni che non condividevamo, abbiamo sperimentato un moto istintivo di irritazione, talora represso e talaltra manifestato verbalmente o gestualmente. Già l’apostolo Giacomo affermava che la lingua può essere «piena di veleno mortale. Con essa benediciamo il Signore e Padre e con essa malediciamo gli uomini fatti a somiglianza di Dio. Dalla stessa bocca escono benedizione e maledizione». E continuava: «Non dev’essere così, fratelli miei! La sorgente può forse far sgorgare dallo stesso getto acqua dolce e amara?» (Gc 3,8c-11). Sì, anche con le parole, che – come dice in maniera colorita papa Francesco – «possono essere (…) coltelli, spade o proiettili», possiamo infangare l’onorabilità e la rispettabilità dell’altro, insozzando l’immagine di Dio che vi è in lui.
Ancora una volta: occorre che vigiliamo attentamente sul nostro cuore e sulla nostra mente. Gesù stesso ci ha detto che il vero campo di battaglia, dove l’inclinazione alla violenza e il desiderio di pace si incontrano e si scontrano, è proprio il nostro cuore. Lo abbiamo sentito nella pagina evangelica proclamata: «Dal di dentro, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male» (Mc 7,21). Parole alle quali fanno eco quelle dell’apostolo Giacomo, il quale, senza esitazione, afferma che la tentazione al male deriva unicamente dalle nostre sregolate inclinazioni (cf. Gc 1,14).

È vero, spesso facciamo fatica a riconoscere o abbiamo timore ad ammettere la complessità dei desideri e degli impulsi che si intersecano dentro di noi, soprattutto se si tratta di desideri e impulsi negativi. E tuttavia, «la via che conduce alla pace passa dall’accettazione della verità. Anche la più piccola parte di noi stessi che noi rifiutiamo di accettare si trasformerà in un nemico, costringendoci sulla difensiva. E quei pezzi di noi stessi che abbiamo scartato troveranno rapidamente la loro incarnazione in quanti ci stanno attorno» (S. Tugwell).
Carissimi, il modo migliore per “fare memoria” delle atrocità della guerra affinché ci siano di monito e non si ripetano più, è proprio quello di impegnarci noi per primi ad evitare che nella nostra quotidianità si insinuino parole o atteggiamenti violenti e bellicosi.

Alla sentenza latina: «Si vis pacem para bellum», opponiamo quella di sapore evangelico: «Si vis pacem, para pacem», e impegniamoci, nel nostro piccolo, ad essere artigiani di pace, ossia a cercare instancabilmente ciò che porta alla pace (cf. Rm 14,19) e ad edificare quest’ultima nei solchi della nostra quotidianità attraverso la concreta testimonianza dell’amore che Gesù ci ha insegnato.
Interceda per noi S. Benedetto, uomo di pace. E così sia.

Servizio fotografico di Roberto Mastronardi