“Non solo il Signore Gesù si rende presente Risorto e vivente in mezzo a noi, ma Egli giunge a farsi cibo per noi, ci nutre di se stesso” : l’omelia dell’abate Luca nella Solennità del Corpus Domini.
SS. CORPO E SANGUE DI CRISTO
2 GIUGNO 2024
Letture: Es 24,3-8; Sal 115 (116); Eb 9,11-15; Mc 14,12-16.22-26
Abbiamo ascoltato nella seconda lettura, tratta dalla lettera agli Ebrei, che il sangue di Cristo purifica la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente (cf. Eb 9,14). Potremmo dire, esplicitando l’affermazione della lettera, che il sangue di Cristo ci consente di servire al Dio vivente facendoci compiere opere di vita, anziché opere di morte. Possiamo allora domandarci: quali sono veramente le opere della vita? Lasciamoci suggerire la risposta a questa domanda dalla Parola di Dio che abbiamo ascoltato.
Nella prima lettura Dio propone a Israele di vivere in alleanza con lui e Israele accetta, dando la sua disponibilità a custodire e a mettere in pratica i comandamenti di Dio: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto» (Es 24,7). Le opere della vita sono quelle che compiamo in alleanza con Dio, ascoltando la sua Parola e obbedendo ai suoi comandamenti. C’è qualcosa di più però, che ci viene rivelato dal rito che Mosè compie: egli sacrifica dei giovenchi e ne raccoglie il sangue. Metà lo versa sull’altare e con l’altra metà asperge il popolo. Dobbiamo comprendere il linguaggio simbolico di questo rito. Il sangue, per la Bibbia, è la sede della vita. L’altare, invece, è segno della presenza di Dio in mezzo al popolo. Il sangue degli animali sacrificati viene dunque versato metà sull’altare, segno di Dio, e metà sul popolo, attraverso l’aspersione. Il rito dunque dice questo: c’è ora uno stesso sangue, una stessa vita che unisce e crea comunione tra Dio e il suo popolo. Le opere della vita sono allora le opere che facciamo in profonda comunione con Dio, come se uno stesso sangue, una stessa vita scorresse in Dio e in noi. Le opere della vita sono quelle che Dio opera in noi e attraverso di noi, e che noi operiamo in lui, grazie al sangue dell’alleanza che crea unità e comunione tra Dio e noi, tra il suo agire e il nostro agire. Davvero diventiamo testimoni di Dio e segno della sua presenza e della sua salvezza nella storia.
Nel Vangelo Gesù si rifà a questo rito compiuto da Mosè, ma al tempo stesso lo modifica, meglio lo rinnova. Egli infatti, dopo aver donato il proprio corpo nel segno del pane, dona anche il proprio sangue nel segno del vino, dicendo: «Questo è il mio sangue dell’alleanza». Ci sono però due differenze fondamentali rispetto a quanto compiuto da Mosè nell’Esodo. Adesso il sangue che viene versato non è più quello di giovenchi o di altri animali, è il sangue stesso di Gesù, il sangue del Figlio di Dio venuto nella nostra carne. Inoltre, Gesù non si limita ad aspergere con il sangue il corpo dei suoi discepoli, come aveva fatto Mosè con gli israeliti. Adesso, attraverso il segno del vino, il suo sangue viene offerto come bevanda ai discepoli e a tutti noi. E noi ne possiamo bere. Il sangue, cioè la vita di Dio, non rimane più sulla superficie dei nostri corpi, come nel rito di aspersione, ma entra dentro di noi, si interiorizza, ci disseta. Davvero la vita di Dio, grazie al corpo e al sangue di Gesù, entra in noi e noi viviamo in lui. Ora lui opera in noi e noi operiamo in lui. E così le nostre opere non sono più opere di morte, diventano davvero opere di vita. E di una vita più forte della morte e più forte del male.
Comprendiamo meglio questo aspetto se poniamo attenzione al racconto di Marco, che abbiamo ascoltato nella lettura evangelica. Per capire meglio il significato del testo dobbiamo ricordare quanto precede e quanto segue nel racconto di Marco. Non lo abbiamo proclamato, lo ricordo io brevemente. Subito prima Gesù annuncia il tradimento di Giuda, subito dopo profetizza il rinnegamento di Pietro. Al centro, ci sono le parole e i gesti che abbiamo ascoltato: Gesù prende il pane e lo spezza, prende il vino e lo offre, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo… Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti». Dunque, nella cornice del quadro c’è il peccato dell’uomo, simboleggiato tanto dal tradimento di Giuda quanto dal rinnegamento di Pietro, al centro ci sono i gesti con cui Gesù dona la propria vita, nei segni del pane e del vino. «Questo è il mio corpo, spezzato per voi… questo è il mio sangue, versato per voi…».
Ecco che si manifestano ancora le opere della vita, più forti delle opere della morte. Opere della morte sono i peccati degli uomini, come il tradimento con cui Giuda consegna Gesù alla Croce; le opere della vita sono quelle con cui Gesù offre per noi la propria vita, per vincere il nostro peccato e la morte che esso produce, in noi e negli altri. «Questo è il mio corpo che è dato per voi… questo è il mio sangue versato per voi e per la vostra salvezza…». Un corpo donato, un sangue versato, affinché le opere della vita vincano sulle opere della morte. E noi, dall’eucaristia, cioè da quel pane e da quel vino, che non ci limitiamo a contemplare o ad adorare, ma che mangiamo, che beviamo, assimiliamo, interiorizziamo, veniamo radicalmente trasformati. Diventiamo anche noi corpo di Cristo, diventiamo membra del suo corpo mistico, sue braccia e sue mani, sue gambe e suoi piedi… così che le opere della vita che lui compie diventino in noi le opere della vita che possiamo compiere a nostra volta.
Fermiamoci ancora sul Vangelo di Marco per coglierne un ultimo particolare. All’inizio della scena, i discepoli domandano a Gesù: «dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?», e intendevano dire: «perché tu possa mangiare l’agnello pasquale, immolato nel tempio di Gerusalemme?». Gesù li invia, li istruisce su dove andare e aggiunge: «egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». C’è qualcosa di paradossale e di apparentemente contraddittorio in queste parole: i discepoli devono «preparare» una stanza che però trovano «già pronta». Cosa c’è da preparare se tutto è già pronto?
In realtà, tutto è già pronto perché, al di là di quello che i discepoli debbono e possono fare, ciò che davvero prepara la stanza è ciò che Gesù fa, donando il suo corpo per noi, versando il suo sangue per noi. Dunque, è Gesù che dà loro da mangiare il vero agnello pasquale, consegnando il proprio corpo e il proprio sangue nei segni del pane e del vino. È Gesù che continua a nutrire anche noi, donandoci anche in questa celebrazione eucaristica il suo corpo nel segno del pane, il suo sangue nel segno del vino, affinché noi che ne mangiamo, ci lasciamo nutrire e trasformare da lui. Anche queste sono le opere della vita: quelle che non pretendiamo di essere noi a compiere, ma che riceviamo dal Signore, quelle che lui compie in noi, quelle con cui lui ci ama, si prende cura di noi e del nostro peccato, come del peccato di Giuda o di Pietro, e lo perdona, e ci trasforma, ci rende simili a sé, perché ora è la sua carne che diviene carne della nostra carne, è il suo sangue che scorre nelle nostre vene. È la sua vita a diventare vita in noi.
Questo è il grande mistero dell’eucaristia che stiamo celebrando in questa Messa come in ogni Messa. Non solo il Signore Gesù si rende presente Risorto e vivente in mezzo a noi, ma egli giunge a farsi cibo per noi, ci nutre di se stesso. Le sue opere diventano le nostre opere. Noi viviamo facendo memoria di lui. Diventiamo sua memoria vivente. E le opere della vita sconfiggono davvero le opere della morte.
Foto: Zeroproduction