Due nuovi oblati secolari per Montecassino nella Solennità di San Benedetto Patrono Primario d’Europa

Sono arrivati puntualissimi i pellegrini della “Salita al Monte” che hanno raggiunto l’Abbazia questa mattina 11 luglio, Solennità di San Benedetto Patrono d’Europa e di Cassino. Alle ore 6.00 la partenza era fissata proprio dalla città martire per percorrere gli antichi sentieri che portavano e ancora oggi portano al millenario cenobio benedettino.

Alle 10.00 Dom Luigi era ad accoglierli per la benedizione proprio dove la grande scritta PAX- Pace- sovrasta l’antico portone d’ingresso al monastero.

Autorità civili e militari, religiosi, religiose e tanti fedeli avevano già preso posto nella Basilica Cattedrale e la Celebrazione presieduta dall’Abate Luca -e concelebrata da oltre venti sacerdoti- è iniziata come da programma alle 10.30. Come di consueto, ad accompagnare all’orgnao il coro dei monaci c’era il maestro Michele D’Agostino.

Una Celebrazione che ha visto anche l’ingresso di due nuovi oblati nella già numerosa famiglia di oblati secolari dell’Abbazia di Montecassino: Paola e Giuliano, che hanno scelto rispettivamente i nomi di oblazione di Cecilia e Bertario. Molto commossi hanno letto le rispettive carte di oblazione – che ciascuno aveva redatto di proprio pugno – e le hanno poi mostrate all’Abate di Montecassino che ne ha preso visione. Ieri pomeriggio, invece l’Abate Luca ha introdotto la riflessione in preparazione alla Solennità di oggi, dal titolo L’esperienza spirituale di san Benedetto e il cammino sinodale della Chiesa

Una festa nella festa quella di oggi, quindi, che si concluderà questa sera con il Concerto della Banda Don Bosco Città di Cassino nella incantevole cornice del Chiostro bramantesco al tramonto.

Il testo integrale dell’Omelia dell’Abate Luca:

San Benedetto, 11 luglio 2023
Letture: Pr 2,1-9; Sal 15; Col 3,12-17; Mt 5,1-12

Desidero rivolgere un grato saluto, e un benvenuto nella casa di san Benedetto, a tutti voi che siete saliti sin qui per celebrare la solennità di san Benedetto, patrono d’Europa, alle autorità presenti, alle monache e ai monaci di altri monasteri, ai sacerdoti che concelebrano, agli oblati e alle oblate, a quanti son saliti qui oggi a piedi, e a ciascuno di voi. Per tutti noi oggi risuona questo invito: «Chi è l’uomo che vuole la vita e brama vedere giorni felici?». Con questa domanda – secondo il Prologo della regola di san Benedetto – il Signore va cercando il suo operario tra la gente.

Così il Signore ci cerca, per prometterci e donarci una vita felice. Cerca ciascuno di noi, come cerca Paola e Giuliano, che tra breve faranno la loro oblazione in questo monastero, ricevendo il nome di Cecilia e di Bertario. Ma di quale felicità si tratta? In cosa consiste davvero una vita felice? La parola di Dio che abbiamo ascoltato ci consente di dare qualche risposta, per quanto parziale, a questi interrogativi.

Una vita felice è anzitutto una vita sapiente, come ci ha ricordato il libro dei Proverbi. Si tratta tuttavia di una sapienza diversa da come spesso la immaginiamo. Non consiste, infatti, anzitutto in un tesoro di conoscenze da possedere, quanto piuttosto in alcuni atteggiamenti da vivere. Il testo dei Proverbi è ricco di verbi: accogliere, custodire, tendere l’orecchio, inclinare il cuore, invocare, ricercare, scavare, comprendere, trovare… Tutti verbi dei quali siamo noi il soggetto, ma che dipendono da un unico verbo che invece ha per soggetto Dio: il Signore dà la sapienza.

La sapienza viene da lui, è un suo dono, gratuitamente offerto, ma questo non ci risparmia, al contrario esige da noi tutta la fatica, molto laboriosa, descritta bene dai numerosi verbi che ho elencato prima. Vita sapiente, vita felice, è dunque anzitutto una vita che sa tenere insieme questi due aspetti, che spesso siamo tentati di dividere se non addirittura di contrappore, assolutizzando l’uno a scapito dell’altro.

Occorre tenere insieme il dono di Dio e il nostro impegno, la grazia di Dio e la responsabilità della nostra libertà. Sapendo peraltro che non sono sullo stesso piano: c’è un’asimmetria, poiché la grazia di Dio viene prima, ci precede, ma il fatto che ci preceda altro non significa che fonda, rende possibile, e perciò esige la corrispondenza faticosa sella nostra libertà. Così è anche per la pace: è un dono che invochiamo dall’alto, ma che ci impegna a spendere tutte le nostre energie umane e spirituali.

Una seconda risposta ci viene dal testo di Paolo alla comunità di Colossi. Se il libro dei Proverbi ci sollecita a fondare una vita sapiente, una vita felice, nel timore di Dio, cioè in questa relazione con lui intessuta di ascolto, di invocazione, di accoglienza, di custodia della sua Parola, la lettera ai Colossesi ci ricorda quali sono i frutti di una vita sapiente. E si tratta di frutti che si manifestano nella verità delle relazioni fraterne. Quanto più la parola di Dio dimora tra noi nella sua ricchezza, tanto più si esprimerà in parole e gesti che incarneranno sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, di sopportazione, di perdono, di amore, di pace.

È interessante: il testo dei Proverbi è ricco di verbi che descrivono il timore di Dio, cioè la nostra relazione con lui; il testo di Paolo è ricco di sentimenti che descrivono la nostra relazione con gli altri. La relazione con Dio fruttifica in questi molteplici sentimenti fraterni, e la sapienza che nasce dal nutrirsi di tutta la ricchezza della parola di Dio, della parola di Cristo, non ci rende degli eruditi o dei dotti, ma persone miti e magnanimi.

Non si limita ad allargare gli spazi della nostra mente, allarga soprattutto gli spazi del nostro cuore, del nostro sentire. È un’altra unificazione alla quale san Benedetto ci chiama attraverso la sua Regola: la capacità di tenere insieme la solitudine e il silenzio della nostra relazione segreta con Dio, da solo a solo, con la ricchezza e la vivacità di una relazione fraterna, intessuta di un sentire nello stesso tempo mite e appassionato.

Una terza risposta la possiamo accogliere dal vangelo delle beatitudini, che sono come il manifesto fondamentale della vita felice, della vita beata che Dio promette ai suoi figli e realizza per loro. Di per sé, in questa pagina di Matteo, sono molte le risposte che ci vengono suggerite. Mi limito a coglierne una, nella tensione che le beatitudini innescano tra presente e futuro. Si è beati adesso per un’azione che Dio promette di realizzare in futuro. Gli afflitti possono essere sin da ora beati perché Dio in futuro li consolerà; i miti possono essere sin da ora beati perché Dio donerà loro in futuro la terra, quale sua eredità. E così via.

E questa attesa fiduciosa, certa, ricca di speranza, di ciò che Dio farà in futuro, ci permette di accogliere già, sin da ora, il regno dei cieli. Il regno è infatti promesso al presente, non al futuro, ai poveri in spirito e ai perseguitati per causa della giustizia. Il regno è già loro, è già nostro, perché il regno è comunione con Dio, con il Dio della promessa. Noi viviamo attendendo il futuro, magari con molte speranze, timori, proiezioni, illusioni, immaginazione… ma la vita felice è per chi sa capovolgere la prospettiva: non muove dal presente per cercare di immaginare il futuro, ma muove dal futuro e consente al futuro, non al futuro immaginato dalla nostra fantasia, ma al futuro garantito dalla promessa di Dio, di rischiarare il presente, anche quando è segnato da pianto, povertà, fame, ingiustizia, persecuzione.

Non è più il presente a immaginare il futuro; è il futuro di Dio a illuminare e a dare senso al presente. È un’altra unificazione decisiva che la vita monastica ci chiede di vivere, nella sua dimensione profetica. Profetica, non perché tenta di indovinare il futuro, ma perché crede così fortemente nelle promesse di Dio che esse diventano il senso e la chiave di interpretazione di tutto ciò che oggi viviamo. Si tratta quindi di unificare presente e futuro, assumendo la promessa di Dio come chiave per aprire la porta di ciò che stiamo vivendo, anche quando appare difficile e doloroso da portare. Benedetto conclude la sua Regola con queste parole del capitolo 73:

Tu dunque, chiunque tu sia, che ti affretti verso la patria celeste, metti in pratica con l’aiuto di Cristo questa Regola minima scritta per i principianti. E allora soltanto potrai raggiungere con la protezione di Dio quelle più altre vette di sapienza e di virtù che abbiamo sopra indicato.

Si raggiunge la sapienza, si raggiunge la vita felice, quando ci si affretta verso la patria celeste, anche se lo si fa con il piccolo passo del principiante. Non importa se il passo è corto, debole, incerto; ciò che importa è che sia un passo comunque ricolmo del desiderio della patria celeste, che sia un passo illuminato dalla promessa di Dio e dal suo futuro; che sia un passo fatto con lo sguardo, con gli occhi pieni del Volto che cerchiamo, pieni del Regno che attendiamo. E che sia anche, come ci hanno ricordato i Proverbi e san Paolo, un passo compiuto nella grazia di Dio e nell’esercizio della nostra libera responsabilità; e che non sia un passo solitario, ma un passo compiuto insieme ai propri fratelli e sorelle, fondendo insieme i nostri cammini.

E allora sarà pure un passo da principiante, sarà pure un passo compiuto nella fatica e nella tortuosità di un cammino arduo; ma sarà comunque un passo compiuto con il cuore nella gioia, sarà il passo di una vita felice. Ed è questo che auguriamo anche a Paola Cecilia e a Giuliano Bertario, così come lo auguriamo a ogni uomo e donna che desiderano la beatitudine del Regno.

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Nelle foto i momenti salienti della mattinata.