S.Eminenza Angelo Comastri a Montecassino per la Solennità di San Benedetto Patrono Primario d’Europa e di Cassino
Dopo il lungo periodo di pausa, si torna a festeggiare in Abbazia san Benedetto il 21 marzo con un Pontificale Solenne presieduto da S.Eminenza Cardinale Angelo Comastri.
Il Cardinale Comastri, che già nel 2020 aveva dato la propria disponibilità a presiedere, ha accolto di nuovo l’invito dell’Abate Donato e questa mattina è stato proprio lui ad impartire la benedizione a tutti i fedeli presenti.
La Celebrazione, animata come da tradizione dal coro Annibale Messore diretto dal Maestro Carmelo Messore, ha visto la partecipazione di molte autorità religiose, militari e civili e di tanti fedeli e amici vicini alla Comunità Monastica.
Di seguito il testo integrale dell’omelia di S.E. Angelo Comastri:
ABBAZIA DI MONTECASSINO
Festa di San Benedetto
21 marzo 2022
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Ho accolto volentieri l’invito dell’Abate a presiedere la Santa Eucaristia nella festa di S. Benedetto: è un’occasione provvidenziale per riflettere sull’importanza decisiva della preghiera per la vita della Chiesa e per l’apostolato della Chiesa.
Nel 1968 ero sacerdote da appena un anno ed ebbi la grazia di poter incontrare Madre Teresa di Calcutta per la prima volta.
Ricordo che subito mi chiese:
“Quante ore preghi al giorno?”
Rimasi sorpreso e risposi:
“Madre, celebro la Santa Messa tutti i giorni. Prego il Breviario tutti i giorni e tutti i giorni prego il Santo Rosario”.
Mi sembrava di essere a posto. La Madre prese le mie mani tra le sue mani e poi mi disse:
“Non basta. Devi pregare di più. Non ti puoi limitare al dovere. Il tuo rapporto con Gesù è un rapporto di amore e nell’amore non ci si può limitare al dovere. Devi trovare ogni giorno un po’ di tempo per stare davanti al Tabernacolo in adorazione, in colloquio di amore”.
Ricordo che rimasi sorpreso e tentai di difendermi dicendo: “Madre, da lei mi aspettavo che mi chiedesse quanta carità fai”.
Madre Teresa mi fissò con i suoi occhi che mandavano luce e poi mi disse:
“E tu pensi che io possa servire i poveri se prima non mi mettessi in preghiera per ricevere da Gesù l’amore che devo trasmettere ai poveri?
Ricordati: per la preghiera Gesù sacrificava anche la carità per insegnarci che senza Dio siamo troppo poveri per poter aiutare i poveri”.
E queste parole me le ha ripetute due volte.
Sono convinto che San Benedetto era in perfetta sintonia con il pensiero di Madre Teresa. Per questo la sintesi della sua vita sta in un binomio: ORA ET LABORA!
Oggi molti non lo capiscono più e per questo l’apostolato è diventato attivismo e per questo anche la carità non profuma più di Gesù e non porta a Gesù.
Don Divo Barsotti (1914-2006), fondatore della Comunità dei Figli di Dio, uomo di intensa preghiera e di contagioso apostolato, diceva: “L’unico vero problema della Chiesa è l’OLIGOPISTIA e l’APISTIA. Cioè la poca fede o addirittura la mancanza di fede”. È una diagnosi in perfetta sintonia con il Vangelo.
Santa Teresa di Lisieux (1873-1897), che è stata una meravigliosa e feconda missionaria pur restando sempre all’interno di un monastero, ha ben espresso il segreto della fecondità della preghiera, che oggi molti non capiscono più.
Ella, con grande lucidità, ha scritto: “Un saggio ha detto ´datemi una leva, un punto d’appoggio, e io solleverò il mondo´. Quello che Archimede non ha potuto ottenere, perché la sua richiesta non si rivolgeva a Dio ed era espressa solo da un punto di vista materiale, i santi l’hanno ottenuto pienamente. L’Onnipotente ha dato loro, come punto d’appoggio, Se Stesso e Se Solo; come leva, ha dato la preghiera che infiamma d’un fuoco d’amore, e così essi hanno sollevato il mondo. E, così lo sollevano i santi della chiesa militante, e lo solleveranno ancora i santi futuri fino alla fine del mondo”.
Sono parole da meditare in ginocchio. Teresa ci consegna una verità di valore incalcolabile: i veri ´apostoli´ sono i santi! E sono apostoli, prima di tutto, perché pregano!
Ella, con poche parole, demolisce vecchie controversie e illumina il problema dell’evangelizzazione del mondo e della fecondità dell’apostolato cristiano: occorrono i santi!
E, per avere i santi, occorrono persone di autentica preghiera; e l’autentica preghiera è quella che infiamma d’un fuoco d’amore: solo così è possibile sollevare il mondo e accostarlo al cuore di Dio.
Si poteva essere più chiari?
E, nello stesso tempo, più semplici?
E più profondi? E più luminosamente evangelici?
Santa Teresa di Lisieux, patrona della missioni (notatelo!) capì l’efficacia della preghiera fin da quando aveva quattordici anni. Ecco come andarono le cose.
In Francia, la notte del 17 marzo 1887, un certo Enrico Pranzini commette un triplice assassinio. Il suo processo termina il 23 luglio con la condanna a morte: così prevedeva la legge francese del tempo.
Teresa di Lisieux, oggi santa, aveva allora 14 anni ed era una meravigliosa cristiana, aperta alla luce di Dio e desiderosa di portare anime all’incontro con la misericordia di Dio.
Appena apprende la notizia della condanna a morte di Enrico Pranzini, Teresa si preoccupa molto, perché l’omicida aveva espressamente rifiutato ogni incontro con il sacerdote e tutto lasciava pensare che egli sarebbe morto impenitente.
La futura santa è sconvolta da questo fatto e inizia una fervente preghiera, coinvolgendo la sorella Celina nello stesso impegno. E cosa avvenne? Ascoltiamo il racconto vivo di Teresa.
«Ero sicura che il Signore avrebbe perdonato all’infelice Pranzini ma per mio semplice conforto chiedevo soltanto un segno di pentimento da parte di quell’uomo. La mia preghiera venne esaudita letteralmente! Malgrado il divieto fattoci da nostro padre di leggere i giornali non credevo di disobbedire leggendo le notizie che riguardavano Pranzini. Il giorno seguente alla esecuzione mi trovo sotto le mani il giornale “La Croix”, lo apro con ansia, e che vedo?… Ah, le lacrime tradirono la mia commozione e fui costretta a nascondermi. Pranzini non si era confessato, era salito sulla ghigliottina e si disponeva a passar la testa sotto la lama, quando ad un tratto, assalito da una improvvisa ispirazione, si volta, afferra il Crocifisso presentatogli dal cappellano, e ne bacia per tre volte le piaghe santissime … Poi la sua anima andò a ricevere la misericordiosa sentenza di Colui il quale dichiara che in “cielo si ha più gioia per un solo peccatore che fa penitenza che per novantanove giusti i quali non ne hanno bisogno!” … (Lc 15,7)».
Se credessimo nell’efficacia della preghiera, tanto tempo lo passeremmo in ginocchio. E il mondo cambierebbe direzione!
In conclusione, ho pensato di proporvi il racconto di una singolare esperienza, riguardo alla preghiera, dello scrittore russo Aleksandr Solženicyn. Nel 1962 egli pubblicò il suo primo romanzo e lo intitolò: Una giornata di Ivan Denisovic.
La narrazione dello scrittore russo ci fa conoscere una delle tremilaseicento-cinquantatre giornate, che Ivan Denisovic deve trascorrere nel lager.
È facile intuire che il povero Ivan è l’autore stesso.
Il lavoro forzato, l’essere contato e ricontato come pecora, la coscienza di trovarsi in balia di un tiranno e non della giustizia, portano all’annientamento spirituale dell’uomo, al disfacimento del suo senso morale rendendolo cattivo, crudele, spietato ed egoista.
Ma nella cupa notte dell’oppressione, in quello che sembra il dominio dei lupi, una fiammella brilla e dà speranza: è la fede di chi è prigioniero per averla custodita, difesa e propagata. È la fede del giovane Aljoska il quale «guarda il sole e si rallegra» ed «ha il sorriso sulle labbra», nonostante tutto. Egli è riuscito a portare con sé, in quell’inferno, il libro del Nuovo Testamento: lo ha, sino ad ora, salvato dalle continue perquisizioni ed è felice. Ogni sera, alla fioca luce della lampada che rimane accesa nella fredda baracca, legge e prega. Ivan lo ascolta, essendo il suo giaciglio proprio sopra il suo. Quella sera si sente dire:
«“Vedete bene, Ivan Denisovic, che l’anima vostra aspira a rivolgere una preghiera a Dio. Perché non la lasciate pregare?”.
Ivan guardò di sbieco Aljoska. Vide i suoi occhi rilucere come due candele. Sospirò: “Vuoi sapere perché non prego? Perché, Aljoska, le preghiere, come le domande scritte, o non arrivano a destinazione o vengono respinte”.
“Ma uno deve avere una fiducia incrollabile nella propria preghiera! Se avete una fede simile, dite a quel monte di spostarsi: si sposterà”.
Ivan sorrise e si arrotolò un’altra sigaretta.
“Smettila di raccontar frottole, Aljoska! … Voialtri Battisti, avete pregato tutti in coro, nel Caucaso, ma almeno un monte l’avete spostato?”.
Erano poveri “cristi” anche loro: che male potevano fare, pregando Iddio? Eppure, si erano buscati, tutti, venticinque anni a testa. Perché quello era un periodo così: venticinque anni a chiunque.
“Ma non abbiamo pregato per questo, Denisovic, – tentava di convincerlo Aljoska. – Il Signore ci ha insegnato che di tutte le cose terrene e periture dobbiamo pregare soltanto per il pane quotidiano. Noi infatti preghiamo così:
‘Dacci oggi il nostro pane quotidiano!’”.
“La razione, vuoi dire?”, chiese Ivan.
Ma Alioska non si arrendeva: voleva convincerlo, più con gli occhi che con le parole, e gli accarezzava la mano:
“Ivan Denisovic! Non bisogna pregare affinché ti mandino un pacco postale o ti diano una scodella di brodaglia in più. Le cose più apprezzate dagli uomini sono turpi agli occhi di Dio! Bisogna pregare per lo spirito, affinché il Signore ci levi dal cuore la schiuma della cattiveria”.[…] Ivan tornò a sdraiarsi… Si immerse nei propri pensieri, senza ascoltare il borbottare di Aljoska.
“Insomma, – concluse alla fine – prega finché vuoi, ma la pena non te la riducono. Dovrai scontarla dal principio sino alla fine”.
“Ma non è per questo che si deve pregare!”, inorridì Aljoska. “Che t’importa della libertà? In libertà, gli ultimi resti della tua fede verranno soffocati dalle cattive erbe! Devi essere contento di essere in prigione! Qui, hai tutto il tempo per pensare all’anima!”.
Ivan guardava il soffitto, in silenzio. Non sapeva più nemmeno lui, se voleva tornare libero o no […] Né si sapeva dove la vita sarebbe stata migliore, se qui o laggiù […]
Aljoska non mentiva quando diceva che era contento di essere in prigione: lo si capiva dalla sua voce e dai suoi occhi…
“Vedi, Aljoska”, concluse Ivan, “il tuo ragionamento fila liscio: Cristo ti ha detto di andare in prigione, ed è per Cristo che ti trovi qui. Ma perché sono stato messo dentro io?”.
La domanda rimase senza risposta, poiché un ennesimo controllo notturno, con relativa conta, lo impedì. Eppure la risposta era stata già data: “Bisogna pregare per lo spirito, affinché il Signore ci levi dal cuore la schiuma della cattiveria!”».
La cattiveria è il vero male dell’uomo: liberarsene è opera dell’uomo, senza dubbio; ma gli è impossibile senza l’aiuto di Dio: è questo il grande motivo della necessità della preghiera.
Dovunque siamo, con umiltà e convinzione, dobbiamo far nostra la preghiera di Ivan: “Signore, toglici dal cuore la schiuma della cattiveria!”.
Com’è bella, com’è consolante, com’è vera e attualissima la testimonianza di questo prigioniero di uno sperduto lager dell’immensa Russia!
E vorrei concludere con una confidenza di Jacques Loewe (fondatore della Missione Operaia in Francia) il quale riferisce di aver ascoltato nell’Abbazia di Citeaux, vicino Digione, queste parole dell’Abate ai suoi monaci:
«Cari monaci, facciamo attenzione, vigiliamo! Perché si può essere atei anche frequentando il coro tutti i giorni; la preghiera, infatti, per essere vera non deve interessare le labbra ma, prima di tutto,
il cuore: ricordiamocelo!». Così disse l’Abate di Citeaux.
Vi auguro, anzi mi auguro che la nostra preghiera parta sempre dal cuore e sia un vero abbraccio con Dio: e l’abbraccio con Dio lascia sempre un segno e infonde una luce che si diffonde attorno a voi.
Non si compiano in noi le parole del Profeta Malachia. Egli rivolse ai sacerdoti di Israele queste severe parole: “Dice il Signore: spezzerò il vostro braccio e spanderò sulla vostra faccia gli escrementi delle vittime di animali immolati nelle vostre solennità”. (Ml 1,3).
La nostra preghiera sia vera, sia sincera, sia umile ed esca dal cuore umile e dalla vita santa: soltanto così, arriva al cuore di Dio.
Card. Angelo Comastri
Vicario di Sua Santità per la Città del Vaticano
Arciprete della Basilica Papale di San Pietro
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