Sia per noi Santa Scolastica esempio di fede limpida, genuina, capace di ispirare la carità. L’Abate Donato nella Solennità di Santa Scolastica

S. SCOLASTICA
10 febbraio 2022

1ª Lettura (Os 2,14-15.19-20)
La prima lettura – tratta dal profeta Osea – parla del deserto come del luogo ideale per cercare Dio. In esso, infatti, data la mancanza di qualsiasi distrazione o sicurezza esteriore a cui potersi appigliare, l’essere umano è confrontato con l’essenzialità che, se da un lato lo denuda delle sue sicurezze e lo aiuta a conoscere la verità su sé stesso dall’altro lo facilita nella sua ricerca di Dio.
Pensando a santa Scolastica, non possiamo non mettere in evidenza il carattere contemplativo della vita da lei scelta, che richiama appunto l’esperienza del deserto: una vita interamente dedicata al raccoglimento, al silenzio e alla preghiera incessante che – all’interno di una fervente e laboriosa vita fraterna, con le sue gioie e le sue fatiche – hanno giocato un ruolo decisivo nella sua ricerca di Dio e hanno affinato il suo desiderio di comunione con Lui.
La vita monastica scelta da Scolastica ci rammenta, inoltre, che difficilmente si riuscirà ad incontrare Dio all’interno di una vita frenetica e rumorosa, poiché Egli non parla nello schiamazzo e le sue parole possono essere udite solo nel silenzio e nell’attenzione profonda del cuore.

2ª Lettura (1Gv 4,7-10.15-16)
Tutta la Prima Lettera di san Giovanni – dalla quale è tratta la seconda lettura – è un’esortazione ad amarci gli uni gli altri. Certo, la parola “amore” – lo sappiamo – può essere intesa e vissuta in tanti modi: in modo banale e superficiale, in modo sentimentale e romantico, o addirittura in modo volgare e svilente. Solo quando è vissuto all’interno di una relazione segnata dal dono reciproco e dalla gratuità, l’amore mostra la sua autenticità e la sua maturità oblativa.
L’apostolo Giovanni, dal canto suo, si prende la briga di spiegarci come si qualifica l’amore cristiano: ci dice che proviene da Dio e che si è concretamente manifestato nel Figlio suo Gesù. Si tratta, dunque, di un amore che ci precede, dal momento che è Dio ad aver preso l’iniziativa di amarci in maniera del tutto gratuita e disinteressata, volta unicamente al nostro bene. E poi si tratta di un amore che si concretizza nell’insegnamento e nella vita di Gesù. In altre parole, è guardando a Lui, Gesù, che noi comprendiamo che cosa significhi l’amore di Dio, quello che sgorga direttamente dal suo cuore:

  • un amore, appunto, gratuito, che mette al centro l’altro e cerca il suo interesse e non il proprio;
  • un amore compassionevole, capace di solidarietà e di condivisione;
  • un amore che predilige gli ultimi, i poveri, gli emarginati, come li ha prediletti Gesù;
  • un amore paziente e misericordioso, pronto a perdonare e a ridare fiducia e speranza;
  • un amore che non discrimina, ma è aperto a tutti, anche ai nemici;
  • un amore che ricerca la compagnia della verità, della giustizia, della pace!

La statura spirituale della nostra esistenza sarà, dunque, definita dalla capacità di farci trasparenza del modo di amare di Gesù. È questo «il criterio per la decisione definitiva sul valore o il disvalore di una vita umana» (papa Benedetto XVI).

Che poi l’amore, per il cristiano, debba occupare il primo posto, lo dimostra anche il famoso episodio dell’ultimo colloquio tra Benedetto e Scolastica, avvenuto tre giorni prima che quest’ultima morisse. Come è noto, Benedetto non voleva contravvenire alle obbligazioni della Regola che gli imponevano di rientrare in monastero prima del tramonto del sole, e perciò non acconsentì alla richiesta della sorella Scolastica che, invece, – presentendo la morte ormai vicina – desiderava prolungare la conversazione spirituale col fratello. Inascoltata da lui, Scolastica si rivolge a Dio, e grazie alla potenza della preghiera, un improvviso e violento nubifragio si abbatté sul luogo dell’incontro, impedendo a Benedetto di ritornare in monastero, e costringendolo a trascorrere la notte in conversazione spirituale con la sorella.

La rigida osservanza e la difesa ad oltranza della Regola, da parte di Benedetto, rappresentava una dimostrazione di forza che escludeva qualsiasi discernimento sulla situazione particolare che si era venuta a creare rispetto agli incontri precedenti. Anziché il ricorso automatico e algido al dettato della Regola occorreva uno sguardo nuovo, illuminato dalla magnanimità e dalla benevolenza dell’amore, che, solo, sarebbe stato in grado di accogliere la richiesta della sorella, mettendo al centro la persona. Solo l’amore vede quello che è alla ragione è invisibile!
Ecco perché, alla fine, è S. Scolastica ad avere la meglio. Lo sottolinea bene san Gregorio Magno, quando, commentando l’episodio, scrive: «Illa plus potuit quae amplius amavit – Ha potuto di più colei che ha amato di più». La stessa anima colombiforme che, nel giorno della morte della sorella, Benedetto vedrà salire al cielo, richiama la purità e l’umile fedeltà dell’amore di Scolastica, amore puro e fedele di cui la colomba è, appunto, il simbolo.

Vangelo (Mt 25,1-13)
In questa pagina Gesù ci esorta a tenerci pronti all’incontro con Lui: «Vegliate – dice – perché non sapete né il giorno né l’ora» (v. 13). Tuttavia, “vegliare” non significa solamente “stare svegli”, non dormire. Qui, come altrove nel Vangelo, Gesù ci fa intendere che il vegliare consiste soprattutto nell’“essere pronti”. Difatti, come abbiamo ascoltato nel brano evangelico, tutte le vergini, senza alcuna eccezione, sia quelle sagge che quelle stolte, spossate dalla lunga attesa dello sposo, si lasciano prendere dal sonno. Tuttavia, quando lo sposo arriva, tutte si svegliano, ma solo le vergini sagge sono “pronte”, le altre no.

L’invito che ci giunge, dunque, non è solo ad essere pronti all’incontro finale con il Signore, ma a collaborare già fin d’ora con la sua grazia, giorno dopo giorno.
E per vivere preparati occorre coltivare una fede limpida, genuina, capace di ispirare la carità, che – a sua volta – purifica e custodisce la fede. La lampada che le vergini del Vangelo portano con sé nell’attesa dello sposo, è, infatti, simbolo della fede, mentre l’olio – come già commentava sant’Agostino – è il simbolo della carità. La nostra fede, per essere e rimanere limpida e genuina dev’essere, dunque, sostenuta dalla carità, ossia da una vita non ripiegata su sé stessa, ma aperta al dono di sé agli altri; una vita che si arricchisce giorno dopo giorno seminando gesti di bontà nei solchi del proprio cammino. Allora sì, quando il Signore giungerà, ci troverà pronti, con la riserva sufficiente di olio – ossia le nostre opere buone – che ci consentirà di entrare con lui al banchetto delle nozze eterne.

S. Scolastica interceda per tutti noi! E così sia.