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Dal sec X ai primordi dell’età moderna

La continuità della vita monastica dopo la distruzione saracena fu assicurata dal preposito Angelario, che era stato inviato dall’abate con una buona parte della comunità nella dipendenza cassinese di S. Benedetto di Teano, dove poi lo stesso Angelario fu eletto abate (883-889) e in seguito vescovo della città. Andato in rovina nell’896 a causa di un incendio il monastero di Teano, i monaci dovettero trasferirsi a Capua, da dove la comunità, nonostante l’avviata ricostruzione di Montecassino, solo con l’abate Aligerno (948[-950?]-985) sarebbe definitivamente partita per far ritorno al monastero cassinese. Non sarebbe terminata tuttavia la tutela da parte della città longobarda, come mostra l’imposizione degli abati Mansone (985/986-996) e Atenolfo (1011-1022), entrambi membri della dinastia capuana, il cui legame con l’imperatore Ottone I – negli anni del principe Pandolfo Capodiferro (961-981) – aveva posto peraltro l’abbazia cassinese sotto la protezione imperiale germanica, in concomitanza con il declino dell’egemonia bizantina nel sud d’Italia.

Le vicende politiche legate all’abbaziato di Atenolfo rispecchiano in maniera emblematica la situazione di Montecassino, geograficamente proprio al centro di volta in volta della contesa o del dialogo fra due autorità entrambe universali, che rivendicavano a diverso titolo una sovranità sul Mezzogiorno italiano: l’Impero d’Oriente, con il Catepanato d’Italia che andava dall’Apulia alla Calabria, e l’Impero germanico d’occidente, il cui influsso al sud si era nuovamente ravvivato con l’avvento della dinastia ottoniana. Proprio l’atteggiamento tenuto da Atenolfo in occasione dell’insurrezione contro il catepano di Bari – favorita in stretto collegamento con l’imperatore Enrico II dal papa Benedetto VIII, ma non assecondata dall’abate cassinese –, provocò la reazione dello stesso imperatore che, chiamato in Italia dal pontefice tuscolano, costrinse l’abate alla fuga verso Bisanzio.

Imponendo come nuovo abate Teobaldo (1022-1035), già discepolo di Aligerno, Enrico intese rafforzare il controllo imperiale sull’abbazia, in parte riuscendovi, sebbene solo con l’abate Richerio (1038-1055), già monaco di Niederaltaich in Baviera, Montecassino si costituisse come una sorta di sentinella teutonica a sud, in coincidenza con l’azione riformatrice condotta a Roma dall’imperatore Enrico III.

Si affacciava però contemporaneamente sulla scena politico-militare la nuova minaccia costituita dai Normanni, contro i quali papa Leone IX si servì ripetutamente dell’appoggio cassinese. In seguito durante il pontificato di Niccolò II maturò un nuovo rapporto tra Papato e Normanni, al cui buon esito contribuì in modo decisivo l’abate Desiderio di Montecassino (1058-1087), futuro papa Vittore III. Questi, che a ragione può definirsi il più grande degli abati di Montecassino, in un primo tempo antinormanno, aveva ben presto colto l’inevitabilità della presenza normanna nel futuro politico dell’Italia meridionale e quindi di Montecassino, stringendo perciò amicizia con Riccardo principe di Capua e Roberto il Guiscardo. Si deve probabilmente alla sua mediazione la richiesta di aiuti contro i partigiani dell’antipapa Benedetto X avanzata presso i Normanni dall’arcidiacono Ildebrando dopo l’intronizzazione di Niccolò II. Nel marzo del 1059 Desiderio fu nominato cardinale presbitero del titolo di S. Cecilia, quindi vicario papale con funzioni di sovrintendenza sui monasteri di Campania, Principato, Puglia e Calabria, nell’aprile di quello stesso anno al sinodo lateranense fu tra i firmatari del decreto che escludeva ogni influsso del potere laico sull’elezione papale riservandola ai soli cardinali vescovi e alla successiva approvazione del clero romano, infine nell’agosto successivo accompagnava il papa al sinodo di Melfi, dove Roberto il Guiscardo prestava giuramento di fedeltà al pontefice, ottenendo l’investitura feudale del ducato di Puglia, Calabria e Sicilia.

Tra il 1061 e il 1073, in coincidenza con il pontificato di Alessandro II, l’abbazia cassinese raggiungeva il vertice del suo splendore grazie ad una politica di equilibrio fra Roma e i Normanni. Nel 1071 Desiderio accoglieva a Montecassino lo stesso papa Alessandro per la consacrazione della nuova basilica, alla quale parteciparono numerosi arcivescovi e vescovi e, tra i signori locali, i principi normanni di Capua Riccardo e Giordano suo figlio. Più complessa divenne però la situazione con Gregorio VII, durante il cui pontificato si registra la scomunica di Roberto il Guiscardo in lotta con Riccardo di Capua alleato del papa (1074), mentre dal canto suo l’abate Desiderio conduce piuttosto una politica di pacificazione, tendente ad evitare una rottura definitiva tra Papato e Normanni. Anche nei confronti di Enrico IV, che era sceso in Italia nel 1082, assediando Roma e traendo dalla sua parte il principe Giordano di Capua già alleato del papa, Desiderio adottò una politica di estrema prudenza. Costretto ad incontrare ad Albano lo scomunicato re (1082/1083), l’abate non aderì alle sue richieste di fedeltà ed omaggio, non escludendo d’altra parte di aiutarlo ad assicurarsi la corona imperiale con l’invito a riconciliarsi con il papa. In questo modo Desiderio riuscì a salvaguardare la sua fedeltà a Gregorio VII ma al tempo stesso sottrasse l’abbazia cassinese al grave pericolo di una vendetta del sovrano germanico alleatosi per giunta con i Normanni di Capua.

Fervore spirituale e splendore culturale si irradiano dalla Montecassino di quegli anni. Se da un lato, come scriveva il Baronio, l’abbazia costituisce un vero e proprio “vivaio di santi pastori”, al punto che diversi monaci ricoprono in quegli anni le cattedre episcopali di Gaeta, Fondi, Sora, Isernia, come pure di Benevento, Salerno, Napoli, dall’altro si registra la formazione di un patrimonio librario che fa del monastero cassinese un vero e proprio arsenale della cultura classica e medievale. Vi si trascrivono tra gli autori della latinità pagana Varrone, Cicerone, Virgilio, Ovidio, Frontino, Seneca, Solino, Tacito, Apuleio, e fra quelli cristiani Agostino, Ilario, Gregorio Magno. Il culmine della grande stagione culturale cassinese si raggiunge nell’età di Desiderio, allorché all’attività scrittoria, già promossa dai suoi predecessori, in particolare da Teobaldo, si aggiunge la renovatio architettonica dell’intero monastero e della basilica, che tipologicamente diverrà un modello per l’architettura dell’Italia centro-meridionale. La superiore dimensione culturale del monastero di quegli anni è riflessa dalla presenza di letterati come Lorenzo d’Amalfi, Alfano di Salerno, Alberico, Leone Marsicano, Amato, Guaiferio, Costantino Africano, Giovanni da Gaeta, futuro papa Gelasio II. Sotto il profilo liturgico inoltre già durante il governo del papa ed abate cassinese Stefano IX (1057-1058) giunge a compimento nell’abbazia un chiaro processo di romanizzazione, che conduce progressivamente alla scomparsa del rito beneventano, mentre nell’età desideriana i contemporanei impulsi di riforma spirituale e disciplinare, oltre che nella magnificenza dei numerosi codici liturgici, si riflettono sia in importanti collezioni canoniche di indubbia portata pastorale, sia in raccolte di preghiere dallo spiccato accento penitenziale, espressione evidente di un’atmosfera di riforma morale.

Non tutti i successori dell’abate Desiderio riuscirono a conservare eguale misura. Se infatti sotto Oderisio I (1087-1105) i possedimenti cassinesi aumentarono, soprattutto grazie al favore di cui ancora godeva il monastero presso i Normanni, negli anni successivi al contrario l’atteggiamento di questi ultimi cambiò a tal punto che essi divennero veri e propri “sfruttatori”. La situazione fu ulteriormente complicata dallo scisma del 1130 che divideva il papa Innocenzo II e il suo avversario Anacleto II. Il monastero cassinese, inserito com’era di fatto nel regno normanno, si schierò in un primo tempo per Anacleto, in favore del quale parteggiava il re Ruggero II; in seguito Montecassino aderì al partito di Innocenzo, subendo per questo le violente reazioni del sovrano normanno, il quale solo dopo il suo riconoscimento da parte del legittimo papa visitò nel 1140 l’abbazia, senza però rilasciare alcun privilegio in suo favore. Ne emise invece uno di grande portata l’imperatore Lotario III nel 1137. Vent’anni dopo intorno al 1156 Montecassino entrava a far parte integrante del regno normanno, avviandosi al tempo stesso verso un inarrestabile declino, che l’ingerenza dei sovrani di Sicilia sulle elezioni abbaziali ben testimonia. La fine del regno normanno con i contrasti per la successione degli Svevi alla morte di Guglielmo II (1189) ebbe le sue gravi ripercussioni anche nella Terra di S. Benedetto e nella stessa abbazia, dove l’abate Roffredo de Insula (1188-1210) almeno in un primo tempo si sottrasse al giuramento di fedeltà al nuovo imperatore svevo Enrico VI sceso in Italia. L’abate sembrava così manifestare un atteggiamento filo-normanno, mentre contemporaneamente il decano Adenolfo, futuro abate di Montecassino (1211-1215), aderiva apertamente ad Enrico insieme alla comunità e alla città di S. Germano. Proprio per la condotta politica non affidabile dell’abate cassinese il papa Innocenzo III inviò dei visitatori a Montecassino dettando norme di ordine temporale e spirituale, confermate in seguito da Onorio III. Coronato imperatore Federico II nel 1220, l’abbazia subì ben presto i contraccolpi della centralizzazione di potere cui mirava il nuovo sovrano; in seguito gravemente negative furono le ripercussioni del conflitto tra Federico e papa Gregorio IX, poi conclusosi con la pace di S. Germano (1230), stipulata proprio ai piedi del monastero; infine funesti furono i preparativi per una nuova guerra tra l’imperatore e il papa (1239), in occasione dei quali, espulsi la gran parte dei monaci, il sito di Montecassino fu ridotto da Federico a presidio militare, trasformandosi, come dirà poi l’abate Bernardo Aiglerio (1263-1282), in una “spelonca di ladroni”. Francese di origine, l’Aiglerio già monaco dell’abbazia benedettina di S. Martino di Savigny nei dintorni di Lione, poi abate di Lérins, era stato chiamato da papa Urbano IV al governo abbaziale nel 1263, assumendo però il suo ufficio solo tre anni dopo, quando lo svevo re Manfredi veniva sconfitto da Carlo d’Angiò, e l’abate Teodino, del partito filo-imperiale, definitivamente allontanato dal monastero, quasi a dimostrazione del disegno politico pontificio volto a facilitare l’accesso di Carlo al regno. Autore di un trattato ascetico molto noto negli ambienti monastici medievali, lo Speculum monachorum (1274), e di una In Regulam s. Benedicti expositio (1282), l’Aiglerio celebrò nel 1275 il primo sinodo diocesano di cui si abbia notizia per Montecassino, ed attese inoltre ad una fondamentale riorganizzazione patrimoniale della Terra S. Benedicti, mediante “inchieste formali” (inquisitiones), condotte con lo scopo di una ricognizione di tutti i diritti, redditi e servizi dovuti all’abbazia cassinese dalle universitates o dai singoli abitanti della stessa Terra S. Benedicti. Pur in condizioni non facili Montecassino ospitava in quegli anni una scuola di formazione ed istruzione per gli oblati del monastero, tra i quali il più celebre fu Tommaso d’Aquino; né mancavano altri personaggi di rilievo come, Alessandro monaco e autore di una versificazione dell’Esamerone di s. Ambrogio, Erasmo monaco nella prima metà del ’200 e futuro magister di teologia all’Università di Napoli.

Tra la fine del XIII e gli inizi del XIV sec. si registrano brevi ed instabili abbaziati, finché papa Giovanni XXII, nel quadro del programma di ristabilimento dell’egemonia guelfo-angioina in Italia, il 2 maggio 1322 con la bolla Supernus opifex elevava l’abbazia al rango di sede episcopale. In seguito papa Urbano V, dopo aver riservato a sé la carica abbaziale, con la bolla Romanus Pontifex il 31 marzo 1367 sopprimeva l’episcopato ripristinando lo status di abbazia, sia per la condizione di grave rovina nella quale giaceva il monastero dopo il tremendo terremoto del 1349, sia per i danni provocati dal regime episcopale, soprattutto a causa delle prolungate assenze dei vescovi, sia infine per i conseguenti pesanti soprusi perpretati dal capitano di ventura Giacomo di Pignataro. Come primo abate, dopo la restituzione dello status abbaziale alla sede cassinese, nel 1369 il papa nominava il camaldolese Andrea da Faenza (†1373). In concomitanza con la sua scelta erano giunti nel 1370 alcuni monaci dai monasteri di S. Martino delle Scale presso Palermo e S. Nicolò dell’Arena di Catania, per rimpinguare la comunità ormai stremata. Allo zelo riformatore di Andrea si devono gli Statuta del 1372. L’abbaziato di quest’ultimo e quello successivo di Pietro de Tartaris (1374-1395) segnarono anche un momento di autentica rinascita artistica. Nondimeno le difficoltà generali del tempo si rivelano nel debole fervore intellettuale del monastero, anche se proprio agli inizi del secolo risale la Expositio in Regulam s. Benedicti del monaco Nicola da Frattura (†1333), formatosi alla scuola giuridica di Bologna, poi divenuto abate di S. Vincenzo al Volturno (1308-1333). Il suo commento riveste tra l’altro un particolare significato per la conoscenza dell’ambiente e delle consuetudini cassinesi tra la fine del ’200 e il secolo seguente.

Alla morte del de Tartaris papa Bonifacio IX come nuovo abate scelse un suo parente, Enrico di S. Salvatore di Rieti (1396-1413/1414), al quale poi successe un altro Tomacelli, Pirro (1414/1415-1437), il cui esordio nel governo dell’abbazia sembrava decisamente coincidere con il ripristino della vita regolare, dopo che re Ladislao aveva decretato nel 1410 l’espulsione quasi totale dei monaci dal monastero, ma ben presto le motivazioni politiche prevalsero su tutte le altre. L’abbazia era infatti da tempo rimasta impigliata nella fitta rete di interessi politico-ecclesiastici che, intersecandosi sul suo territorio, l’avevano coinvolta nelle contese per la successione nel regno di Napoli a partire dalla morte di Roberto d’Angiò nel 1343, e questa situazione era destinata a perdurare fino all’avvento di Alfonso d’Aragona al trono di Napoli nel 1442. In particolare allorché papa Eugenio IV rinnovò l’investitura del regno napoletano in favore di Renato d’Angiò, l’abate Pirro rispose serbando fedeltà ad Alfonso, mentre la comunità si schierava dalla parte del papa per gli Angiò. Alla conclusione del conflitto tra il pontefice ed Alfonso d’Aragona, nel 1443 Eugenio IV tentò probabilmente, ma invano, di affidare l’abbazia in commenda al cardinale Ludovico Trevisan, il quale solo nel 1454 ne assunse il governo. Si iniziava così il periodo dei commendatari: al Trevisan (1454-1465) succedeva il papa Paolo II (1465-1471), a questi il cardinale Giovanni d’Aragona figlio di re Ferrante (1471-1485), e all’aragonese infine, ultimo commendatario, Giovanni de’ Medici (1486-1504), il futuro papa Leone X. Un giudizio storico del tutto negativo sul periodo della commenda anche nel caso di Montecassino sarebbe fuorviante. Si può infatti sottolineare in primo luogo il tentativo non riuscito fatto dal Trevisan nel 1460, dopo quello di Eugenio IV nel 1446, di annettere il monastero alla giovane e già fiorente Congregazione di S. Giustina; in secondo luogo, fatto notevole, si deve proprio a Paolo II il primo vero catalogo dei codici cassinesi a noi pervenuto nel manoscritto Vat. lat. 3961; ed ancora fu il commendatario d’Aragona a curare il rinnovamento estetico-liturgico del monastero. Nondimeno la degenerazione della commenda appare in tutta evidenza con Giovanni de’ Medici, che applica tale istituto come un puro diritto di godimento dei beni appartenenti all’ente monastico. Solo l’ingresso del monastero nella Congregazione di S. Giustina avvenuto nel 1504 segnò la fine di una condizione divenuta pesante, dando quindi l’avvio a quella nuova stagione cinquecentesca che sarebbe stata per Montecassino una delle più luminose dell’intera età moderna.

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Dal sec X ai primordi dell’età moderna

La continuità della vita monastica dopo la distruzione saracena fu assicurata dal preposito Angelario, che era stato inviato dall’abate con una buona parte della comunità nella dipendenza cassinese di S. Benedetto di Teano, dove poi lo stesso Angelario fu eletto abate (883-889) e in seguito vescovo della città. Andato in rovina nell’896 a causa di un incendio il monastero di Teano, i monaci dovettero trasferirsi a Capua, da dove la comunità, nonostante l’avviata ricostruzione di Montecassino, solo con l’abate Aligerno (948[-950?]-985) sarebbe definitivamente partita per far ritorno al monastero cassinese. Non sarebbe terminata tuttavia la tutela da parte della città longobarda, come mostra l’imposizione degli abati Mansone (985/986-996) e Atenolfo (1011-1022), entrambi membri della dinastia capuana, il cui legame con l’imperatore Ottone I – negli anni del principe Pandolfo Capodiferro (961-981) – aveva posto peraltro l’abbazia cassinese sotto la protezione imperiale germanica, in concomitanza con il declino dell’egemonia bizantina nel sud d’Italia.

Le vicende politiche legate all’abbaziato di Atenolfo rispecchiano in maniera emblematica la situazione di Montecassino, geograficamente proprio al centro di volta in volta della contesa o del dialogo fra due autorità entrambe universali, che rivendicavano a diverso titolo una sovranità sul Mezzogiorno italiano: l’Impero d’Oriente, con il Catepanato d’Italia che andava dall’Apulia alla Calabria, e l’Impero germanico d’occidente, il cui influsso al sud si era nuovamente ravvivato con l’avvento della dinastia ottoniana. Proprio l’atteggiamento tenuto da Atenolfo in occasione dell’insurrezione contro il catepano di Bari – favorita in stretto collegamento con l’imperatore Enrico II dal papa Benedetto VIII, ma non assecondata dall’abate cassinese –, provocò la reazione dello stesso imperatore che, chiamato in Italia dal pontefice tuscolano, costrinse l’abate alla fuga verso Bisanzio.

Imponendo come nuovo abate Teobaldo (1022-1035), già discepolo di Aligerno, Enrico intese rafforzare il controllo imperiale sull’abbazia, in parte riuscendovi, sebbene solo con l’abate Richerio (1038-1055), già monaco di Niederaltaich in Baviera, Montecassino si costituisse come una sorta di sentinella teutonica a sud, in coincidenza con l’azione riformatrice condotta a Roma dall’imperatore Enrico III.

Si affacciava però contemporaneamente sulla scena politico-militare la nuova minaccia costituita dai Normanni, contro i quali papa Leone IX si servì ripetutamente dell’appoggio cassinese. In seguito durante il pontificato di Niccolò II maturò un nuovo rapporto tra Papato e Normanni, al cui buon esito contribuì in modo decisivo l’abate Desiderio di Montecassino (1058-1087), futuro papa Vittore III. Questi, che a ragione può definirsi il più grande degli abati di Montecassino, in un primo tempo antinormanno, aveva ben presto colto l’inevitabilità della presenza normanna nel futuro politico dell’Italia meridionale e quindi di Montecassino, stringendo perciò amicizia con Riccardo principe di Capua e Roberto il Guiscardo. Si deve probabilmente alla sua mediazione la richiesta di aiuti contro i partigiani dell’antipapa Benedetto X avanzata presso i Normanni dall’arcidiacono Ildebrando dopo l’intronizzazione di Niccolò II. Nel marzo del 1059 Desiderio fu nominato cardinale presbitero del titolo di S. Cecilia, quindi vicario papale con funzioni di sovrintendenza sui monasteri di Campania, Principato, Puglia e Calabria, nell’aprile di quello stesso anno al sinodo lateranense fu tra i firmatari del decreto che escludeva ogni influsso del potere laico sull’elezione papale riservandola ai soli cardinali vescovi e alla successiva approvazione del clero romano, infine nell’agosto successivo accompagnava il papa al sinodo di Melfi, dove Roberto il Guiscardo prestava giuramento di fedeltà al pontefice, ottenendo l’investitura feudale del ducato di Puglia, Calabria e Sicilia.

Tra il 1061 e il 1073, in coincidenza con il pontificato di Alessandro II, l’abbazia cassinese raggiungeva il vertice del suo splendore grazie ad una politica di equilibrio fra Roma e i Normanni. Nel 1071 Desiderio accoglieva a Montecassino lo stesso papa Alessandro per la consacrazione della nuova basilica, alla quale parteciparono numerosi arcivescovi e vescovi e, tra i signori locali, i principi normanni di Capua Riccardo e Giordano suo figlio. Più complessa divenne però la situazione con Gregorio VII, durante il cui pontificato si registra la scomunica di Roberto il Guiscardo in lotta con Riccardo di Capua alleato del papa (1074), mentre dal canto suo l’abate Desiderio conduce piuttosto una politica di pacificazione, tendente ad evitare una rottura definitiva tra Papato e Normanni. Anche nei confronti di Enrico IV, che era sceso in Italia nel 1082, assediando Roma e traendo dalla sua parte il principe Giordano di Capua già alleato del papa, Desiderio adottò una politica di estrema prudenza. Costretto ad incontrare ad Albano lo scomunicato re (1082/1083), l’abate non aderì alle sue richieste di fedeltà ed omaggio, non escludendo d’altra parte di aiutarlo ad assicurarsi la corona imperiale con l’invito a riconciliarsi con il papa. In questo modo Desiderio riuscì a salvaguardare la sua fedeltà a Gregorio VII ma al tempo stesso sottrasse l’abbazia cassinese al grave pericolo di una vendetta del sovrano germanico alleatosi per giunta con i Normanni di Capua.

Fervore spirituale e splendore culturale si irradiano dalla Montecassino di quegli anni. Se da un lato, come scriveva il Baronio, l’abbazia costituisce un vero e proprio “vivaio di santi pastori”, al punto che diversi monaci ricoprono in quegli anni le cattedre episcopali di Gaeta, Fondi, Sora, Isernia, come pure di Benevento, Salerno, Napoli, dall’altro si registra la formazione di un patrimonio librario che fa del monastero cassinese un vero e proprio arsenale della cultura classica e medievale. Vi si trascrivono tra gli autori della latinità pagana Varrone, Cicerone, Virgilio, Ovidio, Frontino, Seneca, Solino, Tacito, Apuleio, e fra quelli cristiani Agostino, Ilario, Gregorio Magno. Il culmine della grande stagione culturale cassinese si raggiunge nell’età di Desiderio, allorché all’attività scrittoria, già promossa dai suoi predecessori, in particolare da Teobaldo, si aggiunge la renovatio architettonica dell’intero monastero e della basilica, che tipologicamente diverrà un modello per l’architettura dell’Italia centro-meridionale. La superiore dimensione culturale del monastero di quegli anni è riflessa dalla presenza di letterati come Lorenzo d’Amalfi, Alfano di Salerno, Alberico, Leone Marsicano, Amato, Guaiferio, Costantino Africano, Giovanni da Gaeta, futuro papa Gelasio II. Sotto il profilo liturgico inoltre già durante il governo del papa ed abate cassinese Stefano IX (1057-1058) giunge a compimento nell’abbazia un chiaro processo di romanizzazione, che conduce progressivamente alla scomparsa del rito beneventano, mentre nell’età desideriana i contemporanei impulsi di riforma spirituale e disciplinare, oltre che nella magnificenza dei numerosi codici liturgici, si riflettono sia in importanti collezioni canoniche di indubbia portata pastorale, sia in raccolte di preghiere dallo spiccato accento penitenziale, espressione evidente di un’atmosfera di riforma morale.

Non tutti i successori dell’abate Desiderio riuscirono a conservare eguale misura. Se infatti sotto Oderisio I (1087-1105) i possedimenti cassinesi aumentarono, soprattutto grazie al favore di cui ancora godeva il monastero presso i Normanni, negli anni successivi al contrario l’atteggiamento di questi ultimi cambiò a tal punto che essi divennero veri e propri “sfruttatori”. La situazione fu ulteriormente complicata dallo scisma del 1130 che divideva il papa Innocenzo II e il suo avversario Anacleto II. Il monastero cassinese, inserito com’era di fatto nel regno normanno, si schierò in un primo tempo per Anacleto, in favore del quale parteggiava il re Ruggero II; in seguito Montecassino aderì al partito di Innocenzo, subendo per questo le violente reazioni del sovrano normanno, il quale solo dopo il suo riconoscimento da parte del legittimo papa visitò nel 1140 l’abbazia, senza però rilasciare alcun privilegio in suo favore. Ne emise invece uno di grande portata l’imperatore Lotario III nel 1137. Vent’anni dopo intorno al 1156 Montecassino entrava a far parte integrante del regno normanno, avviandosi al tempo stesso verso un inarrestabile declino, che l’ingerenza dei sovrani di Sicilia sulle elezioni abbaziali ben testimonia. La fine del regno normanno con i contrasti per la successione degli Svevi alla morte di Guglielmo II (1189) ebbe le sue gravi ripercussioni anche nella Terra di S. Benedetto e nella stessa abbazia, dove l’abate Roffredo de Insula (1188-1210) almeno in un primo tempo si sottrasse al giuramento di fedeltà al nuovo imperatore svevo Enrico VI sceso in Italia. L’abate sembrava così manifestare un atteggiamento filo-normanno, mentre contemporaneamente il decano Adenolfo, futuro abate di Montecassino (1211-1215), aderiva apertamente ad Enrico insieme alla comunità e alla città di S. Germano. Proprio per la condotta politica non affidabile dell’abate cassinese il papa Innocenzo III inviò dei visitatori a Montecassino dettando norme di ordine temporale e spirituale, confermate in seguito da Onorio III. Coronato imperatore Federico II nel 1220, l’abbazia subì ben presto i contraccolpi della centralizzazione di potere cui mirava il nuovo sovrano; in seguito gravemente negative furono le ripercussioni del conflitto tra Federico e papa Gregorio IX, poi conclusosi con la pace di S. Germano (1230), stipulata proprio ai piedi del monastero; infine funesti furono i preparativi per una nuova guerra tra l’imperatore e il papa (1239), in occasione dei quali, espulsi la gran parte dei monaci, il sito di Montecassino fu ridotto da Federico a presidio militare, trasformandosi, come dirà poi l’abate Bernardo Aiglerio (1263-1282), in una “spelonca di ladroni”. Francese di origine, l’Aiglerio già monaco dell’abbazia benedettina di S. Martino di Savigny nei dintorni di Lione, poi abate di Lérins, era stato chiamato da papa Urbano IV al governo abbaziale nel 1263, assumendo però il suo ufficio solo tre anni dopo, quando lo svevo re Manfredi veniva sconfitto da Carlo d’Angiò, e l’abate Teodino, del partito filo-imperiale, definitivamente allontanato dal monastero, quasi a dimostrazione del disegno politico pontificio volto a facilitare l’accesso di Carlo al regno. Autore di un trattato ascetico molto noto negli ambienti monastici medievali, lo Speculum monachorum (1274), e di una In Regulam s. Benedicti expositio (1282), l’Aiglerio celebrò nel 1275 il primo sinodo diocesano di cui si abbia notizia per Montecassino, ed attese inoltre ad una fondamentale riorganizzazione patrimoniale della Terra S. Benedicti, mediante “inchieste formali” (inquisitiones), condotte con lo scopo di una ricognizione di tutti i diritti, redditi e servizi dovuti all’abbazia cassinese dalle universitates o dai singoli abitanti della stessa Terra S. Benedicti. Pur in condizioni non facili Montecassino ospitava in quegli anni una scuola di formazione ed istruzione per gli oblati del monastero, tra i quali il più celebre fu Tommaso d’Aquino; né mancavano altri personaggi di rilievo come, Alessandro monaco e autore di una versificazione dell’Esamerone di s. Ambrogio, Erasmo monaco nella prima metà del ’200 e futuro magister di teologia all’Università di Napoli.

Tra la fine del XIII e gli inizi del XIV sec. si registrano brevi ed instabili abbaziati, finché papa Giovanni XXII, nel quadro del programma di ristabilimento dell’egemonia guelfo-angioina in Italia, il 2 maggio 1322 con la bolla Supernus opifex elevava l’abbazia al rango di sede episcopale. In seguito papa Urbano V, dopo aver riservato a sé la carica abbaziale, con la bolla Romanus Pontifex il 31 marzo 1367 sopprimeva l’episcopato ripristinando lo status di abbazia, sia per la condizione di grave rovina nella quale giaceva il monastero dopo il tremendo terremoto del 1349, sia per i danni provocati dal regime episcopale, soprattutto a causa delle prolungate assenze dei vescovi, sia infine per i conseguenti pesanti soprusi perpretati dal capitano di ventura Giacomo di Pignataro. Come primo abate, dopo la restituzione dello status abbaziale alla sede cassinese, nel 1369 il papa nominava il camaldolese Andrea da Faenza (†1373). In concomitanza con la sua scelta erano giunti nel 1370 alcuni monaci dai monasteri di S. Martino delle Scale presso Palermo e S. Nicolò dell’Arena di Catania, per rimpinguare la comunità ormai stremata. Allo zelo riformatore di Andrea si devono gli Statuta del 1372. L’abbaziato di quest’ultimo e quello successivo di Pietro de Tartaris (1374-1395) segnarono anche un momento di autentica rinascita artistica. Nondimeno le difficoltà generali del tempo si rivelano nel debole fervore intellettuale del monastero, anche se proprio agli inizi del secolo risale la Expositio in Regulam s. Benedicti del monaco Nicola da Frattura (†1333), formatosi alla scuola giuridica di Bologna, poi divenuto abate di S. Vincenzo al Volturno (1308-1333). Il suo commento riveste tra l’altro un particolare significato per la conoscenza dell’ambiente e delle consuetudini cassinesi tra la fine del ’200 e il secolo seguente.

Alla morte del de Tartaris papa Bonifacio IX come nuovo abate scelse un suo parente, Enrico di S. Salvatore di Rieti (1396-1413/1414), al quale poi successe un altro Tomacelli, Pirro (1414/1415-1437), il cui esordio nel governo dell’abbazia sembrava decisamente coincidere con il ripristino della vita regolare, dopo che re Ladislao aveva decretato nel 1410 l’espulsione quasi totale dei monaci dal monastero, ma ben presto le motivazioni politiche prevalsero su tutte le altre. L’abbazia era infatti da tempo rimasta impigliata nella fitta rete di interessi politico-ecclesiastici che, intersecandosi sul suo territorio, l’avevano coinvolta nelle contese per la successione nel regno di Napoli a partire dalla morte di Roberto d’Angiò nel 1343, e questa situazione era destinata a perdurare fino all’avvento di Alfonso d’Aragona al trono di Napoli nel 1442. In particolare allorché papa Eugenio IV rinnovò l’investitura del regno napoletano in favore di Renato d’Angiò, l’abate Pirro rispose serbando fedeltà ad Alfonso, mentre la comunità si schierava dalla parte del papa per gli Angiò. Alla conclusione del conflitto tra il pontefice ed Alfonso d’Aragona, nel 1443 Eugenio IV tentò probabilmente, ma invano, di affidare l’abbazia in commenda al cardinale Ludovico Trevisan, il quale solo nel 1454 ne assunse il governo. Si iniziava così il periodo dei commendatari: al Trevisan (1454-1465) succedeva il papa Paolo II (1465-1471), a questi il cardinale Giovanni d’Aragona figlio di re Ferrante (1471-1485), e all’aragonese infine, ultimo commendatario, Giovanni de’ Medici (1486-1504), il futuro papa Leone X. Un giudizio storico del tutto negativo sul periodo della commenda anche nel caso di Montecassino sarebbe fuorviante. Si può infatti sottolineare in primo luogo il tentativo non riuscito fatto dal Trevisan nel 1460, dopo quello di Eugenio IV nel 1446, di annettere il monastero alla giovane e già fiorente Congregazione di S. Giustina; in secondo luogo, fatto notevole, si deve proprio a Paolo II il primo vero catalogo dei codici cassinesi a noi pervenuto nel manoscritto Vat. lat. 3961; ed ancora fu il commendatario d’Aragona a curare il rinnovamento estetico-liturgico del monastero. Nondimeno la degenerazione della commenda appare in tutta evidenza con Giovanni de’ Medici, che applica tale istituto come un puro diritto di godimento dei beni appartenenti all’ente monastico. Solo l’ingresso del monastero nella Congregazione di S. Giustina avvenuto nel 1504 segnò la fine di una condizione divenuta pesante, dando quindi l’avvio a quella nuova stagione cinquecentesca che sarebbe stata per Montecassino una delle più luminose dell’intera età moderna.