Gli inizi (sec VI – IX)

Il monastero di Montecassino fu fondato circa l’anno 529 da s. Benedetto da Norcia, il quale da Subiaco era giunto nell’antico Castrum Casinum (oggi Cassino, Frosinone). Egli intraprese ben presto un’attività evangelizzatrice nell’ambito del territorio circostante il Monte, sulla cui cima, utilizzando la preesistente acropoli, egli aveva istituito il suo monastero, centralizzato e strutturato in modo unitario, a differenza dell’organizzazione monastica sublacense, caratterizzata al contrario da una pluralità di piccoli cenobi.

Sembra che egli ottenesse quell’edificio pubblico grazie all’appoggio delle famiglie locali più in vista, e con il beneplacito delle autorità ecclesiastiche più vicine, probabilmente – trovandosi vacante la sede episcopale di Cassino –, quel Costanzo, vescovo di Aquino, la cui stima verso Benedetto è ricordata nel II libro dei Dialoghi di s. Gregorio Magno, biografo del santo. La città di Cassino, un tempo piazzaforte sannitica, poi fedele a Roma, era stata anch’essa travolta nel sec. V dalle incursioni di Visigoti e Vandali. Dei vescovi che ne occuparono la sede un solo nome gode di un certo credito storico, quel “Severo Cassinate”, di cui è attestata la partecipazione al sinodo romano del 487, e alla cui memoria restarono fedeli gli stessi monaci cassinesi, che lo ricordavano già nei più antichi calendari di Montecassino risalenti alla fine del sec. VIII. Privi di fondamento sono invece i nomi di altri due presunti vescovi di Cassino, Caprario e Fortunato. In questo spazio privo delle cure di un vescovo s. Benedetto cominciò ben presto ad esercitare un’opera pastorale con l’autorevolezza di un carisma che non sfuggì allo stesso re dei Goti, Totila, recatosi in visita da lui poco prima di assediare Roma nel dicembre del 546, ricevendone tra l’altro la predizione della sua morte imminente.

Nella zona corrispondente all’attuale chiostro d’ingresso sorgeva il primitivo oratorio del monastero, dedicato a s. Martino, proprio laddove si elevava il tempio dell’acropoli, la cui piattaforma – tuttora visibile – risaliva al III-II sec. a.C. A sud di quest’area inoltre erano situati i diversi locali del cenobio, il cui originario ingresso era ubicato nel settore inferiore dell’attuale santuario della Torre.

Da Gregorio Magno si apprendono i nomi dei primi quattro successori del santo nel governo di Montecassino, sotto l’ultimo dei quali, Bonito, il monastero fu distrutto dai Longobardi capeggiati dal duca beneventano Zotone nel 577, con il conseguente esilio della comunità monastica a Roma – secondo quanto narra Paolo Diacono nella Historia Langobardorum –, e la sua ben probabile estinzione.

Solo intorno al 718 grazie al bresciano Petronace, pellegrino a Roma, e con l’apporto del vicino monastero di S. Vincenzo al Volturno, a Montecassino – dove probabilmente risiedevano già degli eremiti – si poté ricostituire una vera comunità monastica. La rinascita del monastero fu il frutto di una politica di collaborazione tra il ducato beneventano, nel cui territorio era compreso, e la Sede Apostolica. In tale contesto si inserisce la figura del monaco anglosassone s. Villibaldo, futuro vescovo di Eichstätt, che per circa un decennio a partire dal 729/730 visse a Montecassino, rinsaldandovi l’osservanza della Regula Benedicti, per poi ripartirne diretto a Roma, e quindi in Germania. Intanto nel 744 Gisulfo II duca di Benevento, come ci informano i Chronica Sancti Benedicti Casinensis, concedeva in donazione al risorto monastero “le montagne e le pianure che erano tutte all’intorno”, gettando così le basi per lo sviluppo della Terra S. Benedicti, il nucleo primitivo del territorio abbaziale – compreso tra le contee di Aquino, Teano, Comino, Venafro e il ducato di Gaeta, e col tempo estesosi sempre più –, sul quale per secoli il monastero avrebbe esercitato una giurisdizione insieme spirituale e temporale. Nel 748 papa Zaccaria rilasciava alla comunità cassinese un privilegio di esenzione, pervenutoci in una redazione spuria elaborata sulla base di un documento genuino: si andava così delineando la definitiva configurazione giuridica della giurisdizione spirituale cassinese, che appare confermata nel privilegio di incerta datazione, emesso da papa Niccolò I (858-867), nel quale è riconosciuta la totale esenzione dell’abbazia da qualunque giurisdizione episcopale.

A partire dal sec. VIII a Montecassino, nell’ambito dell’osservanza della Regula Benedicti, si elaborarono particolari usi, rispecchiati sia dai due più antichi consuetudinari cassinesi: l’Ordo regularis apud eos qui in arce regulari pollent (dopo il 750), di origine, come sembra, non cassinese in quanto espressione della riforma di Benedetto di Aniane, e l’Ordo officii (VIII/IX sec.), sia dalle due lettere inviate dall’abate Teodemaro (777/778-796) rispettivamente a Carlomagno e al conte Teodorico membro della famiglia di Carlo. In particolare la seconda – sebbene di dubbia autenticità – rivolta ad utilitatem quorundam fratrum apud Gallias commorantium, è di grande interesse perché offre una ricca documentazione sugli usi liturgici cassinesi, dei quali si sottolinea frequentemente il legame con il mos e l’ordo romani. L’esemplarità dell’osservanza cassinese in questo periodo è testimoniata anche da una serie di visite illustri al monastero, dirette all’apprendimento delle tradizioni e della prassi di vita regolare. Vi giunsero tra gli altri: s. Sturmi di Fulda nel 747/748, inviato a Montecassino da s. Bonifacio “apostolo della Germania” nello stesso periodo in cui vi aveva abbracciato la vita monastica l’ex-re franco Carlomanno, zio di Carlomagno; s. Ludgero, primo vescovo di Münster; Adalardo, poi abate di Corbie. È significativo inoltre che nel 751 s. Bonifacio stesso chieda all’abate cassinese Optato un affratellamento liturgico con l’abbazia, ulteriore indizio della riconosciuta centralità spirituale di Montecassino in quel secolo che segnava un periodo di assestamento dell’osservanza benedettina in Italia e soprattutto al di là delle Alpi.

Sul piano politico l’abbazia svolgeva in questo momento un ruolo di mediazione fra Papato, Longobardi e Franchi, come dimostrano la monacazione dell’ex-re longobardo Ratchis e le missioni diplomatiche affidate da papa Zaccaria all’abate Optato sia nel regno franco (750/751) che soprattutto presso il re longobardo Astolfo (752). L’elezione nel 777/778 dell’abate di origine franca Teodemaro segna, almeno temporaneamente, una svolta in senso filo-franco nell’orientamento politico cassinese, siglata nel 787 dalla visita di Carlomagno, che il 28 marzo di quell’anno confermava all’abbazia i suoi beni, le immunità e – fatto notevole – il diritto alla libera elezione dell’abate. Al lungo abbaziato di Teodemaro (†796), segue l’altrettanto lungo governo dell’abate – questa volta di origine longobarda – Gisulfo (796-817). Membro della famiglia ducale beneventana, quest’ultimo contribuì in modo decisivo sia al forte incremento economico dell’abbazia sia alla sua nuova veste architettonica. Egli infatti tra l’altro ampliò il primitivo oratorio di S. Giovanni Battista, ov’era sepolto s. Benedetto, edificando inoltre in pianura una chiesa dedicata al Salvatore, con annesso un monastero – Monasterium maius – destinato a divenire il centro giuridico-amministrativo del già ingente patrimonio cassinese. E proprio la ricchezza materiale del cenobio attirò l’interesse venale dei longobardi di Benevento, non senza gravi episodi, come l’incarceramento e la morte in prigione dell’abate Deusdedit (828-834) dovuti a Sicardo principe.

Intanto nella confusione politica in cui versava proprio in quegli anni l’Italia centro-meridionale, di fatto sfuggita al controllo dei Carolingi, i Saraceni, con le loro bande armate costituivano un serio pericolo al quale non poteva sfuggire Montecassino. Reduci dall’attacco sferrato a Roma nell’846 gli islamici minacciarono infatti il monastero del Salvatore sito in pianura, costringendo i monaci a rifugiarsi su Montecassino, non mancando l’anno seguente di lanciare ulteriori minacce. L’abate Bassacio (837-856) appoggiò le iniziative diplomatiche di Capuani e Salernitani presso l’imperatore Lotario I, nel tentativo di scongiurare il pericolo saraceno, che di fatto almeno temporaneamente fu arginato nell’848, dopo il successo della spedizione contro di essi capeggiata da Ludovico II figlio dell’imperatore. Ne scaturì un trattato di pace fra i contendenti al trono del principato di Benevento – Radelchi, già tesoriere del defunto principe Sicardo, e Siconolfo fratello di quest’ultimo –, al quale contribuì in modo decisivo Bassacio stesso, ricavandone perciò notevoli vantaggi per l’abbazia cassinese, alla quale insieme con S. Vincenzo al Volturno furono riconosciute la tutela imperiale e la piena esenzione fiscale.

Durante il governo del grande abate Bertario (856-883), accorto politico e monaco di notevole spessore culturale, il pericolo saraceno permaneva in tutta la sua gravità. L’abate rafforzò le difese del monastero, fondò una nuova città in pianura, alla quale diede il nome di Eulogimenopoli in onore di s. Benedetto – poco dopo però denominata S. Germano –, ottenendo inoltre da papa Giovanni VIII un ampio e fondamentale privilegio (22 maggio 882) di esenzione dalla giurisdizione vescovile, proprio alla vigilia della distruzione che il monastero cassinese subì il 4 settembre 883 ad opera dei Saraceni di Agropoli. Questi ultimi, che avevano costituito una colonia sul vicino fiume Garigliano, ebbero così modo, dopo la morte di Ludovico II (875), di vendicarsi dell’abate e della sua tenace politica filo-imperiale, sempre rivolta a cercare una globale intesa antisaracena nell’ambito dell’Italia meridionale. Bertario insieme ai suoi monaci morì martire il 22 ottobre successivo nella chiesa del Salvatore.

Gli inizi (sec VI – IX)

Il monastero di Montecassino fu fondato circa l’anno 529 da s. Benedetto da Norcia, il quale da Subiaco era giunto nell’antico Castrum Casinum (oggi Cassino, Frosinone). Egli intraprese ben presto un’attività evangelizzatrice nell’ambito del territorio circostante il Monte, sulla cui cima, utilizzando la preesistente acropoli, egli aveva istituito il suo monastero, centralizzato e strutturato in modo unitario, a differenza dell’organizzazione monastica sublacense, caratterizzata al contrario da una pluralità di piccoli cenobi.

Sembra che egli ottenesse quell’edificio pubblico grazie all’appoggio delle famiglie locali più in vista, e con il beneplacito delle autorità ecclesiastiche più vicine, probabilmente – trovandosi vacante la sede episcopale di Cassino –, quel Costanzo, vescovo di Aquino, la cui stima verso Benedetto è ricordata nel II libro dei Dialoghi di s. Gregorio Magno, biografo del santo. La città di Cassino, un tempo piazzaforte sannitica, poi fedele a Roma, era stata anch’essa travolta nel sec. V dalle incursioni di Visigoti e Vandali. Dei vescovi che ne occuparono la sede un solo nome gode di un certo credito storico, quel “Severo Cassinate”, di cui è attestata la partecipazione al sinodo romano del 487, e alla cui memoria restarono fedeli gli stessi monaci cassinesi, che lo ricordavano già nei più antichi calendari di Montecassino risalenti alla fine del sec. VIII. Privi di fondamento sono invece i nomi di altri due presunti vescovi di Cassino, Caprario e Fortunato. In questo spazio privo delle cure di un vescovo s. Benedetto cominciò ben presto ad esercitare un’opera pastorale con l’autorevolezza di un carisma che non sfuggì allo stesso re dei Goti, Totila, recatosi in visita da lui poco prima di assediare Roma nel dicembre del 546, ricevendone tra l’altro la predizione della sua morte imminente.

Nella zona corrispondente all’attuale chiostro d’ingresso sorgeva il primitivo oratorio del monastero, dedicato a s. Martino, proprio laddove si elevava il tempio dell’acropoli, la cui piattaforma – tuttora visibile – risaliva al III-II sec. a.C. A sud di quest’area inoltre erano situati i diversi locali del cenobio, il cui originario ingresso era ubicato nel settore inferiore dell’attuale santuario della Torre.

Da Gregorio Magno si apprendono i nomi dei primi quattro successori del santo nel governo di Montecassino, sotto l’ultimo dei quali, Bonito, il monastero fu distrutto dai Longobardi capeggiati dal duca beneventano Zotone nel 577, con il conseguente esilio della comunità monastica a Roma – secondo quanto narra Paolo Diacono nella Historia Langobardorum –, e la sua ben probabile estinzione.

Solo intorno al 718 grazie al bresciano Petronace, pellegrino a Roma, e con l’apporto del vicino monastero di S. Vincenzo al Volturno, a Montecassino – dove probabilmente risiedevano già degli eremiti – si poté ricostituire una vera comunità monastica. La rinascita del monastero fu il frutto di una politica di collaborazione tra il ducato beneventano, nel cui territorio era compreso, e la Sede Apostolica. In tale contesto si inserisce la figura del monaco anglosassone s. Villibaldo, futuro vescovo di Eichstätt, che per circa un decennio a partire dal 729/730 visse a Montecassino, rinsaldandovi l’osservanza della Regula Benedicti, per poi ripartirne diretto a Roma, e quindi in Germania. Intanto nel 744 Gisulfo II duca di Benevento, come ci informano i Chronica Sancti Benedicti Casinensis, concedeva in donazione al risorto monastero “le montagne e le pianure che erano tutte all’intorno”, gettando così le basi per lo sviluppo della Terra S. Benedicti, il nucleo primitivo del territorio abbaziale – compreso tra le contee di Aquino, Teano, Comino, Venafro e il ducato di Gaeta, e col tempo estesosi sempre più –, sul quale per secoli il monastero avrebbe esercitato una giurisdizione insieme spirituale e temporale. Nel 748 papa Zaccaria rilasciava alla comunità cassinese un privilegio di esenzione, pervenutoci in una redazione spuria elaborata sulla base di un documento genuino: si andava così delineando la definitiva configurazione giuridica della giurisdizione spirituale cassinese, che appare confermata nel privilegio di incerta datazione, emesso da papa Niccolò I (858-867), nel quale è riconosciuta la totale esenzione dell’abbazia da qualunque giurisdizione episcopale.

A partire dal sec. VIII a Montecassino, nell’ambito dell’osservanza della Regula Benedicti, si elaborarono particolari usi, rispecchiati sia dai due più antichi consuetudinari cassinesi: l’Ordo regularis apud eos qui in arce regulari pollent (dopo il 750), di origine, come sembra, non cassinese in quanto espressione della riforma di Benedetto di Aniane, e l’Ordo officii (VIII/IX sec.), sia dalle due lettere inviate dall’abate Teodemaro (777/778-796) rispettivamente a Carlomagno e al conte Teodorico membro della famiglia di Carlo. In particolare la seconda – sebbene di dubbia autenticità – rivolta ad utilitatem quorundam fratrum apud Gallias commorantium, è di grande interesse perché offre una ricca documentazione sugli usi liturgici cassinesi, dei quali si sottolinea frequentemente il legame con il mos e l’ordo romani. L’esemplarità dell’osservanza cassinese in questo periodo è testimoniata anche da una serie di visite illustri al monastero, dirette all’apprendimento delle tradizioni e della prassi di vita regolare. Vi giunsero tra gli altri: s. Sturmi di Fulda nel 747/748, inviato a Montecassino da s. Bonifacio “apostolo della Germania” nello stesso periodo in cui vi aveva abbracciato la vita monastica l’ex-re franco Carlomanno, zio di Carlomagno; s. Ludgero, primo vescovo di Münster; Adalardo, poi abate di Corbie. È significativo inoltre che nel 751 s. Bonifacio stesso chieda all’abate cassinese Optato un affratellamento liturgico con l’abbazia, ulteriore indizio della riconosciuta centralità spirituale di Montecassino in quel secolo che segnava un periodo di assestamento dell’osservanza benedettina in Italia e soprattutto al di là delle Alpi.

Sul piano politico l’abbazia svolgeva in questo momento un ruolo di mediazione fra Papato, Longobardi e Franchi, come dimostrano la monacazione dell’ex-re longobardo Ratchis e le missioni diplomatiche affidate da papa Zaccaria all’abate Optato sia nel regno franco (750/751) che soprattutto presso il re longobardo Astolfo (752). L’elezione nel 777/778 dell’abate di origine franca Teodemaro segna, almeno temporaneamente, una svolta in senso filo-franco nell’orientamento politico cassinese, siglata nel 787 dalla visita di Carlomagno, che il 28 marzo di quell’anno confermava all’abbazia i suoi beni, le immunità e – fatto notevole – il diritto alla libera elezione dell’abate. Al lungo abbaziato di Teodemaro (†796), segue l’altrettanto lungo governo dell’abate – questa volta di origine longobarda – Gisulfo (796-817). Membro della famiglia ducale beneventana, quest’ultimo contribuì in modo decisivo sia al forte incremento economico dell’abbazia sia alla sua nuova veste architettonica. Egli infatti tra l’altro ampliò il primitivo oratorio di S. Giovanni Battista, ov’era sepolto s. Benedetto, edificando inoltre in pianura una chiesa dedicata al Salvatore, con annesso un monastero – Monasterium maius – destinato a divenire il centro giuridico-amministrativo del già ingente patrimonio cassinese. E proprio la ricchezza materiale del cenobio attirò l’interesse venale dei longobardi di Benevento, non senza gravi episodi, come l’incarceramento e la morte in prigione dell’abate Deusdedit (828-834) dovuti a Sicardo principe.

Intanto nella confusione politica in cui versava proprio in quegli anni l’Italia centro-meridionale, di fatto sfuggita al controllo dei Carolingi, i Saraceni, con le loro bande armate costituivano un serio pericolo al quale non poteva sfuggire Montecassino. Reduci dall’attacco sferrato a Roma nell’846 gli islamici minacciarono infatti il monastero del Salvatore sito in pianura, costringendo i monaci a rifugiarsi su Montecassino, non mancando l’anno seguente di lanciare ulteriori minacce. L’abate Bassacio (837-856) appoggiò le iniziative diplomatiche di Capuani e Salernitani presso l’imperatore Lotario I, nel tentativo di scongiurare il pericolo saraceno, che di fatto almeno temporaneamente fu arginato nell’848, dopo il successo della spedizione contro di essi capeggiata da Ludovico II figlio dell’imperatore. Ne scaturì un trattato di pace fra i contendenti al trono del principato di Benevento – Radelchi, già tesoriere del defunto principe Sicardo, e Siconolfo fratello di quest’ultimo –, al quale contribuì in modo decisivo Bassacio stesso, ricavandone perciò notevoli vantaggi per l’abbazia cassinese, alla quale insieme con S. Vincenzo al Volturno furono riconosciute la tutela imperiale e la piena esenzione fiscale.

Durante il governo del grande abate Bertario (856-883), accorto politico e monaco di notevole spessore culturale, il pericolo saraceno permaneva in tutta la sua gravità. L’abate rafforzò le difese del monastero, fondò una nuova città in pianura, alla quale diede il nome di Eulogimenopoli in onore di s. Benedetto – poco dopo però denominata S. Germano –, ottenendo inoltre da papa Giovanni VIII un ampio e fondamentale privilegio (22 maggio 882) di esenzione dalla giurisdizione vescovile, proprio alla vigilia della distruzione che il monastero cassinese subì il 4 settembre 883 ad opera dei Saraceni di Agropoli. Questi ultimi, che avevano costituito una colonia sul vicino fiume Garigliano, ebbero così modo, dopo la morte di Ludovico II (875), di vendicarsi dell’abate e della sua tenace politica filo-imperiale, sempre rivolta a cercare una globale intesa antisaracena nell’ambito dell’Italia meridionale. Bertario insieme ai suoi monaci morì martire il 22 ottobre successivo nella chiesa del Salvatore.