L’omelia dell’Abate Luca nella Solennità dell’Epifania del Signore

Letture: Is 60,1-6; Sal 71; Ef 3,2-3.5-6; Mt 2,1-12
Come accade ogni anno, nella solennità dell’Epifania, dopo la proclamazione del Vangelo, è stato dato all’annuncio della Pasqua, che quest’anno cadrà il 20 aprile, e delle altre feste principali dell’anno liturgico. È un’antica tradizione liturgica, che custodisce in sé un significato profondo. Epifania è un termine greco che significa manifestazione», «rivelazione». Nel bambino di Betlemme Dio si manifesta. Potremmo dire meglio, «inizia a manifestarsi», perché la sua rivelazione piena e definitiva culmina proprio nell’evento pasquale che, come abbiamo ascoltato dall’annuncio, è il centro di tutto l’anno liturgico, perché è il centro, il cuore della nostra fede; è il centro e il cuore della rivelazione che Dio fa di sé all’umanità.
In effetti, da oggi, e nelle prossime domeniche, la liturgia ci farà contemplare il progressivo manifestarsi di Dio nella nostra storia, come pure nella vita di ciascuno di noi e delle nostre comunità cristiane. Sono particolarmente significative, insieme all’odierna solennità dell’Epifania, le prossime due domeniche. Domenica prossima celebreremo il battesimo di Gesù presso il Giordano, festa che conclude il tempo di Natale e introduce nel tempo ordinario. Nella domenica successiva, il 19 gennaio, ascolteremo dal Vangelo di Giovanni quanto accade durante le nozze di Cana, quando Gesù trasforma l’acqua in vino. Sono tre episodi, ma soprattutto tre manifestazioni di Gesù e del suo mistero. Tre epifanie, tre manifestazioni di Dio che ci mostra il suo vero volto e si fa conoscere nel Figlio, venuto nella nostra carne, Gesù di Nazaret. Secondo molti interpreti, antichi e moderni, queste tre manifestazioni sono rivolte a destinatari diversi: oggi il Signore si manifesta ai popoli pagani, emblematicamente rappresentati dai Magi, questi sapienti che vengono da terre lontane dell’Oriente, lasciandosi guidare da una stella, cioè dalla loro capacità di scrutare e di conoscere i movimenti del cielo e degli astri; presso il Giordano si manifesta a Israele, popolo della prima alleanza che accorre a ricevere il battesimo di conversione e di penitenza impartito dal Battista; infine, a Cana c’è la manifestazione alla comunità della nuova alleanza. Infatti, dopo il segno del vino – scrive Giovanni – Gesù scende a Cafarnao insieme a sua madre, ai suoi fratelli e ai suoi discepoli. In Gesù Dio ci cerca, e cerca proprio tutti, ci cerca ovunque: tra i figli di Israele, in mezzo alle genti e tra i cosiddetti lontani, nella comunità dei cristiani, cioè dei suoi discepoli.
E come dicevo un attimo fa, queste manifestazioni progressive preparano e conducono alla grande e definitiva manifestazione della Pasqua, quando Dio si rivelerà pienamente nella passione, nella morte e nella risurrezione di suo Figlio Gesù. Secondo un’antica leggenda, che ha avuto poi diverse interpretazioni e trascrizioni differenti, i re magi non erano tre, ma quattro. Il quarto re, durante il suo viaggio, dovette attardarsi a soccorrere e aiutare vari bisognosi, dando loro i doni che voleva offrire al re di Israele che era nato. Di conseguenza giunse in Giudea molti anni dopo, trentatré anni dopo per la precisione, e si trovò a Gerusalemme proprio il giorno nel quale Gesù veniva crocifisso. Egli dunque potè adorarlo non nella mangiatoia di Betlemme, o nella casa in braccio a sua madre, come avevano fatto i suoi compagni, ma sul legno della Croce. Vi giunse a mani vuote, perché i suoi doni li aveva regalati durante il cammino, a chi ne aveva avuto bisogno nella sua povertà. Capì allora la parola di Gesù che dice: «ogni volta che lo avete fatto a uno dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». E soprattutto ebbe la possibilità di riconoscere e adorare il Figlio di Dio, il re dei Giudei, nell’uomo crocifisso sul legno della Croce. Comprese allora, lui che giunse a Gerusalemme a mani vuote, che il vero dono non siamo tanto noi a doverlo fare a Gesù, ma è Gesù che ce lo offre. Il vero dono è lui, che offre tutto, persino la propria vita, per noi e per la nostra salvezza. Ai pastori gli angeli avevano annunciato, nella notte di Natale: «Oggi è nato per voi un Salvatore, Cristo Signore». Oggi! Morendo sulla croce, Gesù annuncia al buon ladrone crocifisso con lui: «Oggi sarai con me in Paradiso». Oggi! L’oggi della salvezza è l’oggi della Croce, attraverso la quale il Figlio di Dio si manifesta come Salvatore, ci salva, donando la sua vita per noi. E noi, a mani vuote come il quarto re, più che offrirgli il nostro dono, dobbiamo accogliere il suo dono che ci salva davvero.
Questo ci insegna il quarto re. Se poi rileggete con attenzione il racconto di Matteo che abbiamo ascoltato, vi accorgete facilmente che egli non precisa che i Magi fossero tre. Scrive più genericamente che «alcuni Magi vennero da Oriente a Gerusalemme». Alcuni: non precisa quanti fossero esattamente. Sono però tre i doni che portano – oro, incenso e mirra – e questo ci ha indotto a pensare che fossero tre, perché ognuno porta il proprio dono. Tre doni e dunque tre re. Sul piano più simbolico possiamo riconoscere in questa relazione tra il dono e colui che lo offre un significato importante e suggestivo. I magi vengono identificati dal dono che portano. La tradizione successiva ha dato loro dei nomi – Gaspare, Baldassarre e Melchiorre, mentre Artabàn sarebbe il nome del quarto re – ma il racconto evangelico non ci indica alcun nome personale. Se ci limitassimo al racconto di Matteo dovremmo dire. Per identificarli: il re che offre l’oro, quello che offre l’incenso, il terzo che dona la mirra. I tre re sono identificati dai tre doni che portano. E questo rivela qualcosa di importante anche alla vita di ciascuno di noi: se pure noi abbiamo dei nomi personali, dovremmo sempre ricordarci che a identificarci davvero è il dono che portiamo, è il dono che siamo. La nostra vita ci è stata donata da Dio e Dio desidera che ne facciamo un dono per gli altri, nei tanti modi in cui questo può accadere ogni giorno. Questo è il nostro nome. Questa è la nostra identità. Ma questo è vero anzitutto per Gesù. Il Figlio di Dio, il figlio di Maria, ha un nome umano che lo identifica. Il suo nome è Gesù, un nome che significa: «Dio salva». Anche Gesù è identificato da un nome, che però ricorda il dono che egli è per noi: egli è per noi il Salvatore, colui che ci dona la salvezza di Dio.
Cerchiamolo, dunque, come fanno i Magi, offriamogli i nostri doni, offriamogli la nostra vita come un dono che facciamo a lui e agli altri, ma soprattutto riconosciamoci a mani vuote, bisognosi di allargare le nostre braccia, per ricevere il suo dono. Il dono che egli è per noi, con tutta la sua vita, con tutta la sua salvezza. Oggi è nato per noi il Salvatore del mondo! Oggi, non solamente allora, ma oggi egli continua a essere il solo che può donarci il dono di cui abbiamo maggiormente bisogno: una vita salvata, una vita piena, una vita nella gioia di Dio.