L’omelia dell’Abate Luca nella Messa della Notte di Natale

Letture: Is 9,1-6; Sal 95 (96); Tt 2,11-14, Lc 2,1-14
Il tempo di Avvento è stato ritmato dall’insistente invito a vegliare, a fare attenzione, ad attendere, a preparare la via di Colui che deve venire. Una lunga vigilanza che si sta ora tutta raccogliendo nella veglia di questa notte, nella quale siamo rimasti vigili e pronti ad accoglierlo, e la nostra attesa non è stata vana. In questa eucaristia celebriamo infatti la memoria della nascita di colui che viene a compiere la nostra attesa. Una memoria che ci apre gli occhi per tornare a riconoscerlo presente nelle pieghe più nascoste della nostra vita e della nostra storia.
Ma come il Signore viene, come dona compimento alla nostra attesa? Come un bambino. Ce lo ha ricordato il profeta Isaia nella prima lettura: «Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio». E gli fa eco l’evangelista Luca, con le parole dell’angelo ai pastori: «questo sia per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce». E un bambino è per definizione qualcuno di cui dobbiamo attendere ancora la crescita, e non solamente attenderla, ma anche educarla, custodirla, proteggerla dai rischi e dai pericoli che possono attentare alla sua esistenza. E sappiamo bene, soprattutto dal Vangelo di Matteo, che da subito la vita di questo bambino sarà minacciata di morte. L’angelo annuncia ai pastori la nascita di un Salvatore, che è Cristo Signore. Eppure, questo Salvatore dovrà fare ben presto l’esperienza di dover essere lui stesso salvato da chi tenta di ucciderlo.
La nostra attesa vigilante si cambia così in un altro modo di vegliare: non è solo il vegliare di chi attende, diventa anche il vegliare di chi protegge, di chi custodisce, di chi avvolge nelle fasce della premura e dell’attenzione. Forse anche per questo motivo l’angelo porta anzitutto l’annuncio ai pastori. Non solo perché sono personaggi poveri, marginali, dalla dubbia osservanza della Legge. Ci racconta Luca che l’angelo del Signore si manifesta ad alcuni pastori che stavano vegliando tutta la notte facendo la guardia, custodendo il loro gregge. Vegliano e custodiscono. E saranno loro i primi a poter riconoscere il Figlio di Dio in quel bambino che viene vegliato e custodito dall’amore e dalla tenerezza di Maria e di Giuseppe. Così è il nostro Dio, e solo divenendogli un po’ più simili, capaci di vegliare e di custodire, così come lui veglia su di noi e ci custodisce, possiamo davvero incontrarlo, riconoscerlo, fare comunione con lui, lasciarsi salvare e trasformare da quei suoi gesti di salvezza che egli non solo opera in noi e per noi, ma ci dona, ci rende capaci di operare a nostra volta.
Giuseppe, lo sposo di Maria e padre adottivo di Gesù, dovrà vegliare su questo bambino e custodirlo dai pericoli, soprattutto dalla minaccia di Erode che lo cercherà per ucciderlo. In questa notte di preghiera chiediamo anche noi di imparare, come Giuseppe, a custodire e a vegliare su questo bambino, per proteggerlo da altri pericoli con cui egli può essere eliminato dallo spazio del nostro cuore e della nostra vita. Sono i pericoli costituiti dalla nostra indifferenza, dai nostri egoismi, dalle nostre paure, dai nostri peccati… Dobbiamo imparare a custodire e vegliare su questo bambino affinché non ce lo portino via, non lo uccidano dentro di noi, impedendogli di parlare al nostro cuore, di illuminare le nostre esistenze, di guidare i nostri passi sulle vie che egli desidera percorriamo.
Oggi, poche ore fa, papa Francesco ha aperto la porta santa di san Pietro e ha così inaugurato il Giubileo che egli immagina come un grande pellegrinaggio nella speranza, e si tratta di una speranza che non delude, come scrive san Paolo apostolo ai Romani. La porta è un simbolo cristologico, perché Gesù stesso afferma, nel vangelo di Giovanni, «io sono la porta», e aggiunge: «se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo». Nel Natale di suo figlio Dio ci ha donato questa porta, Gesù, che ci conduce a lui, al Padre, e ci fa entrare nei pascoli sovrabbondanti del suo regno. Celebriamo questo Natale con questo desiderio: vegliare e custodire questo bambino per trovare in lui la porta che ci conduce nel Regno del Padre. In un altro passo dei Vangeli Gesù aggiunge che questa porta è una porta stretta. Se la porta fosse larga, io comunque potrei attraversarla. Se è stretta, per passare attraverso di essa devo prendere un po’ la sua forma. Così è la porta che è Gesù: la possiamo attraversare se assumiamo un po’ la sua forma, se cioè il suo modo di pensare diventa il nostro modo, se il suo sentire diventa il nostro sentire, se il suo agire dà forma e contenuto al nostro agire.
È il pensare, il sentire, l’agire di chi veglia e custodisce la nostra vita, e lo fa con il desiderio che anche noi impariamo a vegliare e custodire la vita degli altri. Ai pastori gli angeli rivelano la nascita di Gesù mentre vegliavano e custodivano il loro gregge. Anche noi potremo comprendere pienamente il mistero del Natale se saremo trovati così dal suo annuncio: mentre vegliamo e custodiamo la vita dei nostri fratelli e sorelle.
Foto: Zeroproduction