Messaggio del Padre Abate Luca per la Quaresima 2025

Condividiamo di seguito l’omelia del Padre Abate Luca nella Santa Messa del Mercoledì delle Ceneri.
Mercoledì delle Ceneri 5 marzo 2025
Letture: Gl 2,12-18; Sal 50 (51); 2Cor 5,20-6,2; Mt 6,1-6.16-18
Anche quest’anno, come ogni anno, entriamo nel cammino quaresimale ascoltando questo testo di Matteo, che costituisce il centro, dal punto di vita letterario, e dunque anche il cuore, dal punto di vista spirituale, dell’intero Discorso della Montagna. Gesù qui parla di tre opere di giustizia – l’elemosina, la preghiera, il digiuno – che ci sollecitano a fare attenzione non soltanto al nostro agire, ma alla qualità delle relazioni che viviamo. Infatti, la preghiera esprime la nostra relazione con Dio, e Matteo la pone al centro delle tre opere, poiché questa è la relazione centrale, dalla quale dipendono le altre due: la relazione con gli altri, da vivere nella forma dell’elemosina, e dunque della condivisione e della solidarietà; e poi il digiuno, che qualifica la nostra relazione con il pane e con tutti gli altri beni della terra e le altre realtà creaturali. Domenica prossima, il racconto della prova di Gesù nel deserto tornerà a farci indugiare su queste relazioni, perché è su di esse che Gesù viene tentato. Dunque, il primo invito alla vigilanza e alla conversione che riceviamo dal tempo quaresimale è questo: vigilare e convertire le relazioni fondamentali che viviamo, con Dio, con gli altri, ma anche con tutte le altre creature che popolano il cosmo creato da Dio.
Così si attende la Pasqua, vegliando su queste relazioni. È suggestivo ricordare come in ebraico uno dei verbi tipici dell’attesa o della veglia è il verbo shamar, da cui viene anche il sostantivo shomer, per indicare la sentinella o la vedetta, colui che veglia nella notte attendendo una nuova alba e cercando di scorgerne i segni al loro primo apparire. Ebbene, il verbo shamar, che significa vegliare, attendere, ma anche custodire, nella tradizione biblica viene riferito a quelle relazioni di cui parlavo prima. Anzitutto la relazione con Dio, perché è un verbo usato per parlare della custodia del sabato o della custodia dei comandamenti, e dunque della parola di Dio. Noi spesso lo traduciamo con il nostro verbo italiano ‘osservare’, ma non si tratta soltanto di osservare, quanto soprattutto di custodire il comandamento di Dio, la sua Parola. Poi shamar viene riferito alla custodia del fratello. È infatti sulle labbra di Caino, quando, attraverso una domanda retorica rivolta a Dio stesso, rifiuta di custodire il proprio fratello Abele. Infine, è un verbo che concerne l’intero creato. Risuona infatti nel comando che Dio affida ad Adamo dopo averlo chiamato all’esistenza: quello di coltivare e di custodire il giardino. Poi, naturalmente, è il verbo dell’attesa, è il verbo della sentinella che attende il nuovo giorno. Ma si attende il futuro così, con speranza, a condizione però di saper custodire il comando di Dio, il proprio fratello, e infine quel giardino che è l’intero creato.
Certamente, al capitolo quarantanovesimo, parlando dell’osservanza della Quaresima, san Benedetto ricorre in latino ad altri verbi e ad altri campi semantici. C’è però forse consentito questo accostamento simbolico, quando egli ci invita ad attendere la santa Pasqua con il desiderio suscitato dallo Spirito. Per non rimanere disincarnato, e spiritualistico più che spirituale, questo desiderio che sostiene l’attesa, illuminato dalla pagina evangelica di Matteo che stiamo ascoltando, deve incarnarsi concretamente in queste attenzioni, in queste vigilanze. Occorre custodire anzitutto la relazione con Dio, anzitutto nella preghiera. San Benedetto invita ad aggiungere orazioni particolari, ma anche ad applicarsi alla preghiera con lacrime. Dunque è in gioco non solo la quantità della preghiera, ma soprattutto la sua qualità, e dunque la sua intensità, profondità, fervore. Occorre pregare, ci ricorda Gesù in Matteo, scendendo nel segreto del proprio cuore, laddove incontriamo il segreto stesso di Dio, che lo abita. E poi occorre custodire la relazione con il fratello, che per san Benedetto si traduce nello zelo buono del capitolo settantaduesimo. Uno zelo che nasce anch’esso dal segreto del cuore per poi esprimersi in parole, sguardi, gesti, premure, attenzioni. San Benedetto ama i laboratori in cui si apprende un’arte, e il capitolo settantaduesimo è il vero laboratorio, la vera officina in cui apprendere ed esercitare l’arte d’amare, custodendo la relazione con il fratello.
Infine, occorre custodire il creato, i beni della terra, le cose di cui la nostra vita continua ad aver bisogno, pur secondo una logica di rinuncia e di libertà. Questo terzo ambito ci sollecita ad avere cura della nostra casa, degli ambienti in cui viviamo, del tempo nel quale siamo immersi, degli oggetti e degli utensili che usiamo, che sono da trattare come vasi d’altare, poiché hanno essi stessi una sacralità, in quanto ogni tipo di cura dei beni creati e donati da Dio, e addirittura di quelli fabbricati dall’intelligenza umana, è cura di Dio stesso.
Cerchiamo dunque di attendere la Pasqua e di vegliare nella sua attesa vegliando su queste relazioni: facendo attenzione alla qualità della nostra preghiera; facendo attenzione alla qualità delle nostre relazioni fraterne, che è sempre una via di umanizzazione. La via dell’umano è la via di Dio: il Figlio di Dio l’ha scelta per scendere incontro a noi e sempre per questa via noi possiamo salire all’incontro con lui. Occorre infine fare attenzione alla qualità delle nostre relazioni con i beni della terra, e in particolare con l’ambiente nel quale viviamo, che è la casa di Dio non solo perché è spazio in cui Dio abita, ma perché è anch’esso strumento, via, mediazione per incontrarlo nel segreto della sua verità.