Montecassino, 23 Marzo 2025. L’omelia dell’Abate Primate Jeremias Schröder

 

Omelia a Montecassino, 23 Marzo 2025, III Domenica della Quaresima

Jeremias Schröder OSB, Abate Primate

 

Caro P. Arciabate, cari confratelli, cari fratelli e sorelle,

è la terza volta, in pochi mesi, che ho l’onore di rivolgere la parola in questa Basilica.
La prima, durante il Congresso degli Abati, quando ho parlato di Montecassino come luogo di resilienza, di forza spirituale che resiste attraverso i secoli.
La seconda, in occasione della ricorrenza della consacrazione della Basilica sessant’anni fa, quando abbiamo commemorato il discorso Pacis Nuntius di San Paolo VI.

Oggi la situazione è diversa. Sono qui in pellegrinaggio, con alcuni amici. Non per un evento ufficiale, ma per celebrare semplicemente, come ogni buon cristiano, la Domenica, ascoltando la Parola, pregando, stando insieme.
Eppure, essendo in questa casa, la casa del Padre, non posso non riflettere sul genio spirituale di questo luogo, alla luce del Vangelo e della Parola di Dio che oggi abbiamo ascoltato.

Nella prima lettura, Dio dice a Mosè: “Togliti i sandali, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa.”
Il tema del luogo mi colpisce profondamente.
La Chiesa cattolica, nella sua struttura, pensa in territori: diocesi, province ecclesiastiche, conferenze episcopali, parrocchie.
I monaci, invece, pensano in luoghi. Spazi concreti, reali, segnati dalla presenza, dal tempo, dalla preghiera.

San Benedetto non ha cercato luoghi già santi. Li ha resi tali. Prima a Subiaco, poi qui a Montecassino.
Ha purificato questi luoghi da ciò che era idolatrico, e li ha santificati con la preghiera e il lavoro quotidiano.
E noi, monaci benedettini, promettiamo la stabilità non per un ordine astratto ma in un luogo concreto: stabilitas loci.
Non ci leghiamo a concetti o un ideale, ma a un luogo, a una comunità, a una terra.

Oggi, mentre l’organizzazione territoriale della Chiesa vive una certa crisi, i luoghi sacri continuano ad attrarre.
Santuari, monasteri, abbazie: per molti cristiani, questi luoghi diventano punti di riferimento per la loro fede.
E non perché siano perfetti. Anzi. Ma perché lì si vive una vita normale, cristiana, umana.
I monaci non sono predicatori. Testimoniano. Con la loro presenza, con la loro fedeltà, con il loro ritmo di vita.

 

Permettetemi un secondo pensiero: Nel Vangelo, Gesù ci parla della pazienza di Dio.
L’albero che non porta frutto non viene subito tagliato. Il vignaiolo chiede tempo: “Lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime.”
Ecco una parola preziosa, per me, come monaco e come abate.

Quante volte, nei monasteri, si ha l’impressione che una realtà sia arrivata alla fine.
Si dice: “Bisogna chiudere.” E sì, qualche volta è anche vero.
Ma tante volte ho visto una rinascita: con un po’ di buona volontà e serietà, con l’aiuto di qualche fratello da fuori, con un po’ di pazienza e di fiducia… la vita riprende. E porta frutto.

Ma non è una pazienza che si esaurisce nell’attesa. Il vignaiolo della parabola è molto attivo, come abbiamo sentito: vuole zappare intorno, e mette concime. E una pazienza attiva, che collabora con Dio.

Mi pare che questa forma della pazienza è anche una maniera molto monastica di vivere le parole del profeta Isaia: “La canna incrinata non la spezza, il lucignolo smorto non lo spegne.” Il mio compito come Abate Primate di tutti i Benedettini e forse anche di invitare – alla serietà, dov’è necessario, ma anche alla pazienza dove ci sono realtà che hanno ancora delle possibilità, dove non tutto è spento. Ho passato gli ultimi tre anni della mia vita in un piccolo monastero nelle Alpi, dove in un certo momento nel medioevo era rimasto un solo monaco. Ma la vita ha ripreso.

E così arriviamo a una parola chiave di oggi: la pazienza è nutrita dalla speranza.
In questo Anno Santo della Speranza, anche noi siamo pellegrini di speranza.
E che cos’è un monastero, se non proprio questo: un luogo di speranza?
Non perché tutto vada bene, ma perché si continua a credere nella possibilità del bene, del cambiamento, della fioritura.
I monasteri, come Montecassino, testimoniano che la vita può sempre rinascere, se lasciamo spazio alla grazia.

Cari fratelli e sorelle,
nella nostra vita personale, nelle nostre comunità, nella Chiesa intera:
non scoraggiamoci se non vediamo subito i frutti.
La pazienza di Dio è più grande della nostra fretta.
Camminiamo insieme, con fiducia. Come pellegrini. Come monaci. Come uomini e donne di speranza.

 

Amen.