17 marzo 2024. Arriva a Montecassino la Fiaccola benedettina ‘pro pace et Europa una’

Fiaccola pace montecassino

È arrivata questa mattina a Montecassino la Fiaccola benedettina pro pace et Europa una. 

Dopo un viaggio iniziato il 7 febbraio con la benedizione di Papa Francesco in Vaticano e l’accoglienza del presidente della Camera dei Deputati  Lorenzo Fontana, la Fiaccola , accesa a Norcia, ha portato il suo messaggio di pace e fratellanza a Praga, poi presso il Sacro Speco di Subiaco e infine a Montecassino dove la parabola della vita di San Benedetto è giunta a compimento.

L’Accoglienza della Fiaccola a Montecassino

Ad accogliere, quindi, la Fiaccola e i sindaci delle città gemellate di Norcia, Subiaco e Cassino con le rispettive rappresentanze delle Amministrazioni, Dom Luigi Maria Di Bussolo, Presidente della Fondazione San Benedetto, che ha guidato tutti verso la Basilica Cattedrale.

Aperto per l’occasione l’antico ingresso al Monastero, il grande portone sovrastato dalla scritta PAX- Pace- attraverso cui tutti hanno avuto l’occasione di passare per raggiungere il primo dei Chiostri che conducono alla Basilica Cattedrale.

Superato il grande scalone, la Fiaccola, scortata dai Tedofori del CUS Cassino con i Tedofori di Norcia e Subiaco ha attraversato i chiostri per arrivare all’ingresso della Basilica Cattedrale dove la attendeva l’Abate Luca.

Dom Luigi Maria ha dato inizio alla cerimonia con la lettura del messaggio di Pace 2024 che si può scaricare in formato pdf a questo link : Messaggio di Pace 2024

La Liturgia della Parola

All’Abate Luca il compito di guidare la riflessione con le parole che riportiamo nella versione integrale del testo:

Quale gioia quando mi dissero…
La preghiera per la pace nel Salmo 121 (122)

Montecassino, 18 marzo 2023, mattina

«Quale gioia, quando mi dissero…». Pregando il salmo 121 abbiamo pronunciato queste parole, che esprime bene anche la nostra gioia oggi, nell’accogliere la fiaccola di san Benedetto pro pace et Europa una.

Il salmo 121 appartiene a una piccola collezione di quindici salmi, all’interno del Salterio, tutti caratterizzati da una stessa intestazione: «canti delle salite». Probabilmente erano le preghiere che accompagnavano i pellegrini che salivano verso Gerusalemme, e dunque anche verso il tempio, verso il luogo di Dio, verso l’incontro con lui. Come in fondo avete fatto tutti voi oggi, salendo in questa Chiesa, dove riposa san Benedetto, patrono d’Europa, insieme alla sorella Scolastica.

La gioia di cui parla il Salmo, peraltro, declina insieme il singolare con il plurale; tiene cioè insieme l’esperienza personale e quella comunitaria, di un popolo intero. Dice infatti il primo versetto:

Quale gioia quando mi dissero:
«Andremo alla casa del Signore».

Quale gioia quando mi dissero: dissero proprio a me, ecco l’esperienza personale, che tuttavia si apre subito dopo a un respiro più ampio: andremo. Non andrò, ma andremo, al plurale: la gioia consiste infatti nel poter camminare, ma insieme agli altri, come popolo, come comunità. Perché si può andare verso Gerusalemme, che è la città della pace (questa infatti è l’etimologia popolare del nome di questa città), solo camminando insieme agli altri, come fratelli e sorelle riconciliati, che cercano insieme la giustizia e la pace.

È illuminante anche notare come nel salmo ci siano quattro termini che ricorrono tre volte, e il tre, nella simbologia biblica, è una cifra che evoca pienezza, compimento. I termini sono: Gerusalemme, città, pace, Signore (nella traduzione italiana Signore ricorre quattro volte, ma è un problema della nostra versione, in ebraico lo troviamo tre volte, una quarta solo in forma abbreviata).

Gerusalemme viene cercata dal pellegrino e celebrata dal salmo come dimora del Signore, come casa, come luogo di pace. In altri termini: quando sale a Gerusalemme, il pellegrino cerca in questa città tre realtà: il Signore, una casa, la pace. Il salmo in questo modo ci consegna una domanda: che senso ha per la nostra vita desiderare l’incontro con il Signore, cercare una casa, aspirare alla pace? Cercare Dio significa anche cercare una casa in cui abitare insieme, nella pace, facendo delle nostre città dei veri luoghi di incontro, di dialogo di pace. Come accade anche oggi, in questo giorno in cui qui convergono e abitano insieme le tre città di Norcia, Subiaco, Cassino.

Una ulteriore sottolineatura. Il salmo ricorda il motivo per cui si sale verso Gerusalemme. Il motivo è duplice. Innanzitutto ci si va per lodare il nome del Signore, come ricorda il v. 4. E si loda il nome di Dio nel suo tempio. Ma si sale verso Gerusalemme anche perché là sono posti i seggi o i troni del giudizio, i troni della casa di Davide. Qui si fa riferimento ai seggi da cui si amministra la giustizia, perché il re, Davide e i suoi discendenti, deve assicurare in nome di Dio la giustizia tra il popolo.

Quindi, si sale verso Gerusalemme per questo duplice e inseparabile motivo: per rendere culto a Dio nel suo Tempio, ma anche per rendere culto all’uomo, e il culto dell’uomo è la giustizia, che si cerca là dove sono posti i seggi di Davide, cioè il tribunale – come lo definiremmo noi con la nostra terminologia – come luogo in cui si amministra la giustizia tra gli uomini. Gerusalemme può essere città di pace perché contemporaneamente è città della preghiera ed è città dei giusti giudizi umani, città del culto a Dio e città del culto all’uomo, città del tempio e città della giustizia.

Non c’è infatti culto autentico a Dio che non implichi l’esercizio della giustizia, come ricordano con forza alcune pagine della letteratura profetica. Basti qui ricordare Amos 5,21-14. L’assenza di giustizia rende il nostro culto solo esteriore e detestabile da Dio, che invece desidera essere cercato, invocato, celebrato da chi insieme al suo volto cerca anche il volto della giustizia da rendere al proprio fratello.

Ecco la condizione perché Gerusalemme sia città di pace. Questa tuttavia rimane una vocazione, un cammino verso cui tendere in risposta alla chiamata del Signore. Gerusalemme è città di pace perché deve diventare città di pace. Deve ancora diventare ciò che il suo nome esprime. Per questo motivo il pellegrino che sale a Gerusalemme non solo cerca pace, ma invoca pace sulla città, e la invoca dall’alto, dal dono di Dio, come ci ricorda l’ultima strofa del salmo. Il pellegrino cerca la pace, ma desidera portare anche il suo augurio e il suo saluto di pace; va a Gerusalemme per pregare per la pace, e gli ultimi versetti del salmo insistono molto su questa invocazione per la pace. Ed è anche quello che noi desideriamo vivere oggi: ci siamo ritrovati qui per pregare per la pace.

Gesù stesso è salito a Gerusalemme per portare il suo saluto di pace, che tuttavia Gerusalemme non ha saputo accogliere. Dobbiamo qui ricordare il testo di Luca che narra il pianto di Gesù su Gerusalemme, città incapace di accogliere il suo saluto di pace.

41Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo: 42 «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. 43Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; 44abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata» (Lc 19,41-44).

Dunque, la nostra preghiera rimane inutile, non riesce a ottenere quello che desidera? Spesso siamo delusi e frustrati perché anche oggi ci sono città, situazioni, realtà che non vogliono accogliere il nostro saluto di pace. Allora, tutto è inutile? Le Scritture ci rispondo di no, non è tutto inutile. Perché comunque il nostro impegno riceverà il compimento da Dio stesso. In modo molto significativo il libro dell’Apocalisse, libro con il quale si conclude l’intera Bibbia, termina con la visione della Gerusalemme celeste che discende dall’alto. Il pellegrino che sale verso Gerusalemme cercandola come città della giustizia e della pace fa invece la scoperta, sorprendente e grata, di contemplare una città che dall’alto scende verso di noi, come dono gratuito di Dio.

Con questa immagine della Gerusalemme che discende dal cielo si conclude l’Apocalisse e con l’Apocalisse l’intero arco della rivelazione biblica. Possiamo qui ricordare come si concludono le Scritture di Israele. Per noi l’ultimo libro del Primo Testamento è il libro del profeta Malachia. Non dobbiamo però dimenticare che la Bibbia ebraica ha un ordine diverso in cui i libri sono disposti. In essa l’ultimo libro è quello delle Cronache, che si conclude con questa immagine. L’imperatore Ciro decide di concedere agli ebrei esiliati in Babilonia di tornare a Gerusalemme e qui di ricostruire il tempio. Questo è l’ultimo testo della Bibbia ebraica:

22Nell’anno primo di Ciro, re di Persia, perché si adempisse la parola del Signore pronunciata per bocca di Geremia, il Signore suscitò lo spirito di Ciro, re di Persia, che fece proclamare per tutto il suo regno, anche per iscritto: 23«Così dice Ciro, re di Persia: “Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!”» (2Cr 36,22-23).

Il Primo Testamento si chiude con questa immagine di speranza e di attesa: il popolo può tornare a salire verso Gerusalemme, verso il tempio, verso Dio. Questa speranza si compie nel Nuovo Testamento, in modo inatteso e sorprendente. Perché l’immagine con cui si chiude l’Apocalisse è l’immagine della città perfetta, della Gerusalemme celeste, che scende verso gli uomini, dentro la loro storia, per trasfigurarla in celi nuovi e in una nuova terra. Il salire dell’uomo è simbolo di tutto il suo impegno nella storia, ma tutto ciò che l’uomo deve fare apre di fatto lo spazio all’accoglienza del dono di Dio che dall’alto discende.

Attenzione: soltanto salendo si può percepire ciò che discende. Solo salendo. Il dono di Dio non consegna l’uomo a un’attesa passiva. Lo sollecita al contrario a fare tutto ciò che può e deve fare, perché solo nella sua fatica e nel suo sudore l’uomo può percepire ciò che non è frutto della sua fatica e del suo sudore, ma dono di Dio. Tutto è grazia, ma solo chi molto si affatica giunge a riconoscere che davvero tutto è grazia.

Il senso della storia, e un criterio per leggerla riconoscendovi l’oggi di Dio, è allora costituito anche da questo grande criterio di discernimento che è l’attesa. Devi fare tutto quello che ti è possibile fare, ma rimanendo in attesa di un compimento, che ti verrà donato, e in modo paradossale compirà la tua attesa sorprendendola. Suscitando lo stupore di fronte a ciò che, sebbene atteso, rimane pur sempre inatteso.

I chiostri animati dai colori degli splendidi abiti dei figuranti

Dopo la Liturgia della Parola, grande festa nel chiostro bramantesco con i figuranti dei tre cortei delle città gemellate nel nome di San Benedetto e la rievocazione del Corteo Storico Terra Sancti Benedicti: l’Actus Reverentiae a San Benedetto e le gioiose Danze Medievali.

Nel pomeriggio la Fiaccola, come da programma, scenderà giù nella città di Cassino sempre scortata da atleti e tedofori del CUS Cassino.