“Con l’Incarnazione di Gesù, Figlio di Dio,tutti sono raggiunti dal suo Amore che salva, a partire dai più fragili e dai più deboli”. Santo Natale 2021: le parole dell’Abate Donato nell’omelia della Messa della Notte

NATALE 2021 – Messa della Notte

Lc 2,1-14

1In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. 2Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. 3Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. 4Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nazaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. 5Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. 6Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. 7Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
8C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. 9Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, 10ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: 11oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. 12Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». 13E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: 14«Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

Un Dio che entra nel tempo e nella storia
Nel brano evangelico ascoltato, l’evangelista Luca inquadra storicamente e cronologicamente la nascita di Gesù attraverso la menzione dell’imperatore Augusto, di Quirinio, governatore della Siria, e delle città di Nazaret e Betlemme. In tal modo Luca intende dimostrare che il Figlio di Dio, Cristo Gesù, si è realmente incarnato ed è entrato nel vivo della nostra storia, per mostrarci – dal di dentro di essa e non in maniera astratta – l’Amore immenso di un Dio che si fa vicino per sorreggerci e illuminare il nostro cammino di quaggiù.

Un Dio umile e povero
L’altro aspetto che emerge dal racconto della nascita di Gesù, Figlio di Dio, è la grande umiltà e povertà nella quale essa avviene, in una grotta adibita a stalla, e il fatto che il primo annuncio della sua nascita sia stato recato dall’angelo ad alcuni pastori, persone che occupavano i gradini più bassi della scala sociale e che erano, dunque, caratterizzate da una vita povera e precaria.
Da questi indizi comprendiamo come, fin dalla sua nascita, Gesù abbia reso manifesto il modo di agire di Dio che, situandosi all’opposto di quello del mondo, mostra di voler prediligere ciò che è povero, umile e marginale, e non la ricchezza, il potere e uno status sociale basato su privilegi e sete di dominio. Con l’Incarnazione di Gesù, Figlio di Dio, nato umile e povero, tutti sono raggiunti dal suo Amore che salva, a partire dai più fragili e dai più deboli. Come ha scritto un filosofo cristiano: «Cristo non ritenne mai un tetto tanto misero da impedirgli di entrare con gioia, mai un uomo tanto insignificante da non voler collocare la sua dimora nel suo cuore» (Soren Kierkegaard).

Stupore e adorazione
L’attitudine interiore migliore di fronte a questo mistero di amore è quella di umile e adorante stupore. Se il nostro cuore ne è pervaso, allora Gesù continua a rinascere in noi per farci testimoni del suo amore nel mondo. Non importa chi siamo e quale gradino della scala sociale occupiamo. Quel che importa è coltivare un cuore umile che ci consenta di arrenderci alla bellezza e alla forza salvifica dell’amore di Dio, così come Gesù ce l’ha rivelato, e farci guidare da esso. Dio, infatti, non si stanca mai di noi, neppure quando disertiamo la sua compagnia. Detto questo, soffermiamoci con umile e adorante stupore su due frasi del brano evangelico proclamato.

«Lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia»
Questa frase, all’apparenza semplicemente descrittiva, racchiude un ricco simbolismo. Innanzitutto, il gesto umile e delicato con cui Maria avvolge in fasce il neonato Gesù, per proteggerlo e ripararlo dal freddo, rimanda, in filigrana, al destino dello stesso Gesù, il Salvatore del mondo. Le fasce, infatti, alludono ad altre fasce, quelle con le quali il suo corpo, deposto dalla croce, sarà avvolto per la sepoltura. La mangiatoia poi, dal canto suo, simboleggia il sepolcro nel quale Gesù sarà posto.
La tradizione cristiana ha sempre giocato su questa ambivalenza simbolica, unendo in tal modo e in maniera indissolubile il mistero della nascita a quello della morte redentrice di Gesù. Anche noi, dunque, contemplando il mistero della nascita del Figlio di Dio, fissiamo lo sguardo, con adorante e grato stupore, sulla ragione della sua venuta nel mondo, finalizzata alla sua morte redentrice. Gesù è nato per salvarci attraverso la sua morte di croce!
L’essere avvolti in fasce, inoltre, può essere interpretato anche in riferimento alla nostra vita di credenti. In tal caso Maria appare ai nostri occhi come la “Madre della Chiesa”, come colei, cioè, che, nel prendersi cura del corpo di Gesù bambino, prefigura il suo compito di madre premurosa nei confronti del Corpo di Cristo che è la Chiesa, ossia tutti noi che crediamo in Lui. Quel gesto così tenero e materno, infatti, Maria continua a compierlo anche oggi per ciascuno di noi, accompagnandoci e sostenendoci con la sua protezione lungo i solchi della storia.
Inoltre, il fatto che Gesù sia stato posto in una mangiatoia – ossia il luogo nel quale gli animali mangiano – simboleggia il dono che il Bambino Gesù è e che farà di sé stesso. Il sacrificio di sé sulla croce, infatti, è perpetuato nel mistero eucaristico, grazie al quale possiamo cibarci del suo corpo e del suo sangue, alimento spirituale che ci fortifica e illumina il nostro cammino di quaggiù.

«C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge»
I pastori, scelti come i primi destinatari dell’annuncio della nascita del Salvatore, diventeranno anche i primi testimoni di quanto hanno visto e contemplato. Due caratteristiche li definiscono. Innanzitutto la vigilanza: essi vegliano durante la notte perché devono fare la guardia al gregge loro affidato e difenderlo dall’incursione di bestie selvatiche o di malintenzionati. Il vegliare diventa, così, sinonimo di prontezza e accoglienza nei confronti dell’annuncio che viene loro dato dall’angelo. La Parola di Dio può essere accolta e custodita solo da un cuore desto, da occhi vigilanti e da orecchie tese all’ascolto. E poi – una volta superato il timore iniziale dovuto all’improvvisa apparizione dell’angelo e alla gloria del Signore della cui luce erano stati avvolti – i pastori dimostrano di possedere anche un cuore fiducioso e spalancato alla novità di Dio. Infatti, senza indugio, fidandosi solamente della parola dell’angelo, si mettono in cammino per raggiungere la grotta nel quale giaceva il Salvatore Gesù Cristo.

Sorelle e fratelli carissimi, se desideriamo che la luce del Salvatore illumini anche la nostra vita, destiamo il nostro cuore, apriamolo con stupore all’Amore che salva, e accogliamo il Bambino Gesù che chiede di rinascere in noi. Lasciamolo entrare nella nostra vita, affinché la rischiari e ci offra quella gioia che niente e nessuno potrà toglierci, e ci doni quella pace che, sola, è in grado di resistere ai marosi della vita, mantenendo desta la nostra speranza e alimentando la testimonianza della nostra carità.

Concludo parafrasando le parole di un abate cistercense del Medioevo, il Beato Isacco della Stella: se Cristo ha dimorato per nove mesi nel tabernacolo che è il grembo della Vergine Maria, e se dimorerà nel tabernacolo della fede della Chiesa sino alla fine del mondo, lasciamo che Egli – il Dio Bambino – dimori per l’eternità nell’amore del nostro cuore fedele. Solo così sarà davvero Natale, quello vero. E così sia!