Circa 150 oblati benedettini in visita oggi a Montecassino

  • Si sta svolgendo in questi giorni a Roma il Congresso Internazionale degli Oblati Benedettini. Giunto alla sua quinta edizione, il Congresso si tiene per la prima volta presso la Badia Primaziale di Sant’Anselmo, e questa mattina, 11 settembre, in calendario c’era la visita all’Abbazia di Montecassino.

La visita a Montecassino

Iniziato sabato 9 settembre, il Congresso terminerà sabato 16 alternando momenti di incontro e confronto con escursioni che interesseranno principalmente i luoghi di san Benedetto.

E questa mattina i circa 150 oblati provenienti da 25 diverse nazionalità sono arrivati a Montecassino per pregare alla tomba del Patriarca, fondatore del Monachesimo occidentale.

Dopo la visita guidata con il personale dell’Abbazia, che ha permesso loro di poter sostare qualche minuto in quella che è stata la cella di San Benedetto e di pregare alla tomba dei Santi Benedetto e Scolastica, alle 12.00 è iniziata la Celebrazione Eucaristica. A presiedere c’era l’Abate Luca e tra i concelebranti anche l’Abate Primate emerito Notker Wolf.

L’omelia dell’Abate Luca

Il tema del Congresso di quest’anno è  “Andare avanti, vivendo la saggezza della Regola“e nella sua omelia, che riportiamo nella versione integrale, l’ Abate Luca lo ha citato, commentandolo e argomentandolo alla luce del Vangelo del giorno:

Congresso internazionale degli oblati
Montecassino 11.09.23
Letture: Col 1,24-2,3; Sal 61 (62); Lc 6,6-11

«Domando a voi: in giorno di sabato, è lecito fare del bene o fare del male, salvare una vita o sopprimerla?». Questa domanda di Gesù interpella anche noi, ci pone il vero interrogativo che deve guidare la nostra vita e alimentare la nostra esperienza credente.

Non bisogna chiedersi come osservare il sabato, cosa sia lecito fare o non fare, che cosa significhi compiere il precetto o al contrario trasgredirlo, occorre piuttosto chiedersi cosa significhi fare il bene e come il comandamento della Legge, più ampiamente tutta la parola di Dio, ci aiuti in questo discernimento, consentendoci di capire quale bene occorra compiere per conformarsi alla volontà di Dio e vivere così una vita piena e libera, non più paralizzata da tanti condizionamenti negativi che ci rendono schiavi.

A questo interrogativo che oggi il Vangelo di Luca ci consegna, potremmo accostare la domanda che risuona, netta e forte, nel Prologo alla Regola del nostro santo padre Benedetto: «Chi è l’uomo che brama la vita e vuole vedere giorni felici?» (RB Pr 15).

Come ben sappiamo, san Benedetto risponde a questa domanda ricordando, con alcuni versetti del Salmo 33, cosa significhi fare il bene: «Se vuoi avere la vita vera e perpetua, trattieni la tua lingua dal male e le tue labbra non proferiscano menzogna; sta lontano dal male e fa’ il bene, cerca la pace e perseguila. E se farete questo, i miei occhi saranno su di voi e le mie orecchie saranno attente alle vostre preghiere, e ancor prima che mi invochiate, vi dirò: “Eccomi. Che cosa mai è più dolce per noi di questa voce del Signore che ci invita, fratelli carissimi? Ecco, il Signore nella sua bontà ci indica la via della vita”. (RB Pr 17-20).

San Benedetto ci dona la sua Regola non come un insieme di precetti da osservare, così come i giudei intendevano il sabato al tempo di Gesù – come una norma da ottemperare scrupolosamente, da non trasgredire – ma ce la dona come una scuola di sapienza, affinché veniamo formati a comprendere cosa davvero significhi fare il bene e non il male, e così trovare la via della vita, la via di quei giorni felici che tutti noi desideriamo.

Gesù pone in mezzo alla sinagoga l’uomo che aveva la mano paralizzata; lo pone al centro dei presenti. Al centro di coloro che avevano invece gli occhi puntati su Gesù, per vedere che cosa avrebbe fatto, se lo guariva anche in giorno di sabato, «per trovare di che accusarlo», scrive Luca. Gesù è al centro del loro giudizio; invece Gesù mette al centro l’uomo paralitico, non al centro di un giudizio accusatorio, ma al centro della misericordia di Dio, che ci perdona, ci guarisce, ci libera.

Tutto questo pone una ulteriore domanda alla nostra vita e alla nostra fede. Che cosa poniamo al centro, che cosa è centrale nella nostra fede, nella nostra ricerca, nella nostra esperienza umana?

San Benedetto ci chiede di mettere al centro Gesù, non anteponendo nulla al suo amore per noi e, in risposta, al nostro amore per lui. Però questa centralità di Cristo si declina poi, nella Regola, attraverso una grande attenzione all’umano. Cercare Cristo significa cercare una vita felice, libera, compiuta, vissuta nel bene. Gesù pone al centro l’uomo dalla mano paralizzata; san Benedetto ci dice che noi siamo al centro dello sguardo di Dio, ricordandoci che i suoi occhi sono su di noi, per custodirci, le sue orecchie sono attente alle nostre preghiere, e ancor prima che lo invochiamo lui ci dice: Eccomi.

È straordinaria questa parola della Regola. Sappiamo come il più delle volte, nelle Scritture, «Eccomi» è una parola sulle labbra di uomini e di donne, che danno la loro disponibilità e la loro obbedienza alla chiamata che ricevono dal Signore. Nella Regola «Eccomi» è una parola sulle labbra di Dio stesso, che ci offre la sua disponibilità per indicarci la via della vita, la via attraverso la quale compiere il bene e non il male. San Benedetto ci invita a mettere al centro Gesù Cristo e il suo amore, ma perché lui, Gesù Cristo, possa rivelarci che noi siamo al centro del cuore di Dio, del suo amore, della sua misericordia, che ci libera e ci conduce sulla via della vita guarendoci da tutto ciò che può paralizzare il nostro cammino.

Andare avanti vivendo la saggezza della Regola

Il tema del vostro congresso di questo anno è «Andare avanti vivendo la saggezza della Regola». Lo state già sviluppando e avrete modo di approfondirlo nei prossimi giorni, con l’aiuto di relazioni, seminari, workshop. Io vi lascio questa breve parola, nella luce del Vangelo che abbiamo ascoltato: per andare avanti, per camminare, abbiamo bisogno che Gesù, come ha guarito l’uomo dalla mano paralizzata, guarisca anche le nostre paralisi personali, soprattutto quelle più interiori.

Camminare nella luce della saggezza della Regola significa avanzare in questa sapienza: sapere che siamo al centro del cuore e della misericordia di Dio, e che vivere la centralità di Cristo significa sapersi al centro, al cuore, della cura provvidente di Dio per noi.

Noi lo cerchiamo per scoprire che lui già ci sta cercando; noi lo amiamo, per giungere a vivere l’esperienza che il suo amore ci precede; noi lo serviamo, per accorgerci che è lui a servirci indicandoci la via della vita.

Come oblati benedettini, siete chiamati a vivere i valori della Regola e la sua sapienza nelle diverse realtà del mondo, nei differenti contesti familiari, professionali e lavorativi, nelle relazioni amicali e nei rapporti sociali. Sappiate avere questa sapienza: vivete la centralità di Cristo mettendo al centro della vostra cura e delle vostre preoccupazioni gli uomini e le donne bisognosi di vita vera, di vita felice, di vita compiuta.

Liberateli da ciò che li paralizza con idoli vuoti, speranze deludenti, ricerche inconcludenti. Sappiate, con la vostra testimonianza e la vostra amicizia, indicare loro le vie del bene, che non deludono e non rimangono sterili o inefficaci. Sappiate annunciare loro che sono al centro non di un giudizio, ma al centro dell’amore del Padre che vuole che tutti i suoi figli siano nella gioia.

Testimoniate loro, come scrive san Paolo ai Colossesi nella prima lettura che è stata proclamata, che in Cristo sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza (cf. Col 2,3). Sono nascosti in lui, nascosti nel suo amore, così come anche noi siamo nascosti in lui e nel suo amore.

In questa stessa lettera ai Colossesi, infatti, san Paolo dirà, qualche pagina più avanti, che la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio (cf. Col 3,3). In Cristo è nascosta la sapienza, con Cristo siamo anche noi nascosti in Dio.

È qui, forse, la vera sapienza che come monaci e monache, oblati e oblate benedettini, siamo chiamati a testimoniare: sapienza è sapere di essere nascosti e custoditi nell’amore di Dio, e rimanere e dimorare in questo amore in ogni impegno e responsabilità e servizio che siamo chiamati ad assumere nella storia che Dio ci affida. Affinché gli uomini e le donne, liberati dalle loro paralisi interiori ed esteriori, possano camminare cercando la via della vita, desiderando e trovando una vita felice!