Entriamo nella ferita del costato di Gesù e lasciamoci avvolgere dal calore consolatore del suo amore: celebrazione della Passione del Signore a Montecassino

Entriamo nella ferita del costato di Gesù e lasciamoci avvolgere dal calore consolatore del suo amore: celebrazione della Passione del Signore a Montecassino.

Di seguito il testo integrale dell’omelia dell’Abate Luca che ci invita a entrare in quello che Gesù ha vissuto e nel modo con cui lo ha vissuto, ad entrare nella ferita del suo costato, a percepire l’amore con il quale egli ci ha amati fino al dono totale di sé, ad avvertirne il calore accogliente, consolatore e avvolgente che caccia via il freddo, la paura, il non senso. Quel calore dell’amore che ci fa vivere per sempre facendoci rinascere ad una vita nuova.

 

CELEBRAZIONE DELLA PASSIONE DEL SIGNORE 
LETTURE: Is 52,13-53,12; Sal 30; Eb 4,14-16; 5,7-9; Gv 18,1-19,42

7 aprile 2023

Tra poco, come momento culminante di questa nostra celebrazione della Passione del Signore, verrà portato in mezzo alla nostra assemblea il Crocifisso, per essere adorato. Entrerà velato e, poco alla volta, sarà svelato, in tre momenti successivi. Questo progressivo svelamento assume anche un valore simbolico, poiché ci ricorda che non riusciamo a comprendere subito, immediatamente e completamente, il mistero della Croce e della Pasqua. Abbiamo bisogno di tempo, di farlo gradualmente. Il mistero ci si svela e ci si rivela progressivamente, così che noi possiamo assimilarlo e comprenderlo pian piano. Dalle letture bibliche che abbiamo ascoltato ci viene offerto un grande criterio per riuscire a farlo. In particolare, il Vangelo di Giovanni ci dona un suggerimento importante, attraverso la citazione di un versetto del profeta Zaccaria: «volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto». Più esattamente il testo greco in cui scrive l’evangelista dice: metteranno lo sguardo dentro colui che hanno trafitto. Dentro: si tratta cioè di entrare dentro, non di limitarsi a guardare dall’esterno, ma di entrare dentro, per guardare dall’interno. Allora tutto cambia, vedi cose che prima non vedevi, comprendi quello che prima non capivi. E ti accade quello che succede in inverno, o quando – come in questi giorni – il clima è ancora rigido. Se rimani all’esterno della casa, senti freddo; se entri dentro, trovi un calore che ti accoglie, che ti riscalda, che ti conforta. Se guardiamo il Crocifisso dall’esterno, sentiamo freddo; avvertiamo tutto il freddo del male, della morte, di ciò che non ha senso, di ciò che non riusciamo a capire e a spiegare, perché il male, l’odio, la morte, non hanno spiegazioni, sono assurdi, incomprensibili, insensati. Se rimaniamo fuori, sentiamo freddo; se invece entriamo nella stanza, entriamo in Gesù, nel suo costato aperto, entriamo in quello che lui ha vissuto e nel modo con cui lo ha vissuto, entriamo cioè nell’amore con il quale egli ci ha amati fino al dono totale di sé, allora percepiamo un calore che ci accoglie, che ci consola, che ci avvolge, che caccia via il freddo, la paura, il non senso. Sentiamo il calore di un amore che ci fa vivere, e ci fa vivere per sempre, generandoci a una vita diversa, facendoci rinascere di nuovo.

Come allora entrare dentro quello che Gesù ha vissuto? In che modo farci da lui riscaldare, confortare, sostenere? La liturgia che stiamo celebrando ci offre tre porte, o tre vie per farlo. Non sono le uniche, ma su queste tre vorrei invitarvi adesso a fare attenzione. Sono tre momenti che questa liturgia ci propone: l’ascolto della parola di Dio (che abbiamo già vissuto); gli altri due momenti li vivremo tra breve: la preghiera di intercessione per i bisogni di tutto il mondo e l’adorazione del Crocifisso, che baceremo.

Il primo momento, l’ascolto della parola di Dio, ci aiuta a comprendere che Gesù ha vissuto la sua passione con l’orecchio aperto. Lo hanno costretto a chiudere la bocca, come ci ha ricordato il profeta Isaia: «maltrattato si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come un agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca» (Is 53,6). Ma in questa esperienza terribile, ci ha detto la lettera agli Ebrei, da tutto quello che patì, Gesù ha imparato l’obbedienza, ha imparato cioè ad aprire l’orecchio per ascoltare la parola del Padre che lo ha sostenuto, lo ha illuminato, ha dato significato a quello che stava vivendo. Per Gesù ascoltare la parola di Dio ha significato credere nella sua promessa di benedizione e di vita. Se la parola degli uomini, la parola del loro odio, della loro violenza, del loro rifiuto, del loro peccato, chiudeva la sua bocca perché chiudeva la sua vita, Gesù si è affidato alla parola del Padre, ha continuato a credere alla sua promessa, ha creduto che laddove il male e la morte chiudono ogni porta, Dio riapre sempre, riapre le porte, riapre la speranza, riapre la vita, riapre le vie del bene e della benedizione. Dove noi chiudiamo, Dio riapre sempre. Butta giù i muri, scoperchia i sepolcri di morte, torna a rendere possibili i dialoghi e gli abbracci, spalanca le carceri e libera i prigionieri, converte i pugni chiusi in mani aperte e accoglienti, trasforma le lacrime in canti di gioia, disegna sorrisi sui volti tristi e disperati. Ascoltare la parola di Dio deve avere anche per noi lo stesso significato: credere che la sua promessa è più forte e tenace di tutto il male e il non senso che può minacciare la nostra esistenza.

Il secondo momento importante che vivremo in questa liturgia è la preghiera di intercessione, la più solenne dell’intero anno liturgico. Intercediamo per i bisogni di tutto il mondo, consapevoli che Gesù ha fatto della propria morte una grande intercessione. Morendo ha gridato la sua sete, ma poi, anziché dissetare se stesso, ha fatto del suo corpo una sorgente di acqua viva per dissetare tutti noi. Grida «ho sete», ma poi è dal suo corpo squarciato nella morte che scaturisce l’acqua dello Spirito che ci disseta per sempre. Nel Vangelo di Luca Gesù muore pregando e perdonando, intercedendo persino per i suoi uccisori: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno». Gesù è morto pregando e intercedendo per tutti. Ricordare e celebrare la sua morte deve avere anche per noi questo significato: deve consentirci di entrare dentro la stanza della preghiera di Gesù, trasformare la nostra sete e il nostro desiderio in un’acqua che disseta altri, anche attraverso la nostra intercessione.

Infine, adoreremo la croce, baceremo il crocifisso, entrando così nel mistero del suo amore. Il bacio è un segno di affetto, di comunione nell’amore, di unione dei nostri corpi. Gesù muore amandoci sino al compimento. Ciò che compie il suo amore non è la sua morte, ciò che compie il suo amore è il nostro bacio, è cioè il nostro desiderio di accogliere e di corrispondere al suo amore, e, baciando lui, è il desiderio di diventare capaci di amarci gli uni gli altri così come, sino al compimento, egi ci ha amati. Baceremo un simbolo, scolpito nel legno, baceremo il simbolo di un crocifisso, di un morto, ma sapendo che quel Crocifisso è risorto e vive per sempre. Attraverso questo simbolo e la sua mediazione, baciando quel crocifisso, noi sappiamo di entrare in comunione con l’amore di un Vivente, non di un morto, con l’amore di colui che vive per sempre e che ci fa vivere con lui per sempre. Che questo bacio non ci lasci fuori dalla stanza, all’esterno, al freddo, ci faccia entrare dentro, nella stanza, dove il calore del suo amore può davvero riscaldarci. Soprattutto ci renda capaci di riscaldare qualcun altro, obbedienti alla parola di Dio che ascoltiamo, obbedienti a quel «sì» che nell’amore egli dice a tutti i suoi figli, a tutte le sue figlie.

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