“Elogio della Speranza”: la riflessione di inizio anno dell’Abate Donato

ELOGIO DELLA SPERANZA
Donato Ogliari

In un articolo del 2005, scritto in previsione dell’anno nuovo e intitolato AUGURI! – articolo ripreso nel volume Cassino, ad agostonon è brutta –, il “preside” e Cassinate “doc” Peppino Grossi, che mi onora della sua stima e amicizia (debitamente contraccambiate!), menziona la celebre operetta morale di Giacomo Leopardi: Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere. Invito chi ne avesse voglia non solo a (ri-)leggere questa operetta, ma anche e (ri-)vedere il cortometraggio, facilmente rinvenibile su youtube, realizzato da Ermanno Olmi e arricchito dalla mirabile interpretazione di Paolo Pampurini (il venditore) e Enzo Tarascio (il “passeggere”).
Per brevità diremo solo che il Dialogo incalzante tra il “passeggere” e il venditore, che si protrae con una fitta serie di battute all’ingresso di una stazione ferroviaria, si conclude con il riconoscimento da parte del venditore che, sì, la vita felice è proprio qualcosa che non si conosce e che appartiene alla vita futura o a un futuro, appunto, migliore: «Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura».

Indubbiamente, la felicità è una cosa seria, nel senso che non ha nulla da spartire con una visione edulcorata della vita o con una certa retorica consolatoria che propina facili ricette sul come raggiungerla. La felicità è uno stato d’animo non facilmente circoscrivibile né descrivibile una volta per tutte, perché deve sempre confrontarsi con la complessità della vita, la quale, con il suo realismo, le sue asperità, i suoi rovesci e le sue imprevedibili sofferenze, finisce col presentare un conto che non sempre coincide con le aspettative messe in campo. D’altra parte non bisogna neppure cedere alla deriva pessimistica di chi, come lo scrittore e giornalista statunitense Ambrose Gwinnett Bierce, nel suo Dizionario del diavolo, ha sarcasticamente e provocatoriamente definito l’anno civile come un «periodo fatto di 365 delusioni».
L’antidoto contro l’estinzione di ogni anelito, desiderio, sogno o attesa che portiamo in cuore – e dunque contro lo spegnimento della stessa aspirazione alla felicità, presente in ciascuno di noi – ci viene dalla speranza. L’importanza che essa riveste nella vita degli esseri umani, codificata nell’espressione «la speranza è l’ultima a morire» (derivante dal mito greco di Pandora), ha trovato il suo massimo riscontro nel cristianesimo. Quest’ultimo l’ha talmente magnificata da collocarla – accanto alla fede e alla carità – nell’empireo delle virtù teologali, di quelle virtù, cioè, che, riferendosi direttamente a Dio, sono in grado di disporre i credenti a vivere in comunione con Lui e a trarre da Lui la forza e la luce necessarie per sostenere il viaggio, spesso difficoltoso, della vita.

Ogni essere umano trova istintivamente nella speranza un appiglio per affrontare i momenti difficili o bui della propria esistenza. Spera, ad esempio, di trovare un lavoro dignitoso, di guarire da una malattia, di superare una crisi coniugale o familiare, di uscire indenne da un’emergenza sanitaria, come l’attuale pandemia. Tuttavia, il credente nutre anche la consapevolezza che la speranza cristiana non mira solamente a sostenerlo nell’attesa che si realizzi ciò che egli spera, ma lo mette anche in condizione di attraversare – con la luce e la forza che provengono dal mondo di Dio – gli stessi rovesci della vita, lo sconforto, la delusione o il dolore, preservandolo dal cedere allo scoraggiamento e dallo smarrirsi nelle nebbie delle apparenti o reali sconfitte.
Solo così la felicità non rimane “speranza di felicità”, ma diventa esperienza viva di una fiducia incrollabile che si innerva nelle pieghe della nostra esistenza – anche quelle meno appaganti – e che porta a guardare al futuro con rinnovata speranza. Non basta, infatti, che affidiamo il nostro futuro ai risultati, per quanto mirabolanti, della scienza e della tecnologia, o ai propositi – spesso, ahimè, deludenti – di quanti sono primariamente responsabili della salvaguardia del nostro pianeta. Ben vengano tutte queste cose. Sono senza dubbio necessarie. In fondo – come ama dire papa Francesco – la speranza va organizzata, non deve, cioè, rimanere un esercizio astratto, ma va perseguita con l’intento di tradurla nella vita concreta di ogni giorno.
Perché ciò avvenga, occorre che la luce della speranza continui a brillare, vivida, chiara e avvolgente, nel nostro cuore. Quale migliore augurio, dunque, all’inizio di un nuovo anno, di quello che ci invita a ravvivare in noi la speranza? Appigliamoci tenacemente a questa luce interiore, affinché i giorni dell’anno in corso possano essere vissuti come 365 nuove opportunità per essere felici e non come 365 delusioni!

Riflessione pubblicata sul Quotidiano L’Inchiesta il giorno 5 gennaio 2022