L’Abate Luca presiede la Celebrazione Eucaristica per santa Scolastica alla Chiesetta del Colloquio

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Ci prepariamo a celebrare sabato prossimo la Solennità di Santa Scolastica e quindi l’augurio è che possiamo tutti vivere questi giorni nel desiderio di purificare i nostri cuori, renderli più simili a quelli dei nostri Santi Benedetto e Scolastica, ricordando sempre che può di più colei o colui che ama di più.

Ha iniziato con queste parole l’Abate Luca ieri pomeriggio, domenica 4 febbraio, la Celebrazione nella chiesa del Colloquio nel Comune di Villa Santa Lucia (FR). La chiesetta in cui San Gregorio Magno nel secondo libro dei suoi Dialoghi, dedicato alla vita di San Benedetto, ci dice sia avvenuto l’ultimo colloquio tra San Benedetto e la sorella Scolastica. Pochissimi giorni dopo il loro incontro, infatti, Scolastica morì.

Di seguito il testo integrale dell’omelia dell’Abate Luca e alcune foto della Celebrazione.

V Domenica del Tempo Ordinario – B
Chiesa del Colloquio, 4 febbraio 2024

Letture: Gb 7,1-4.6-7; Sal 146 (147); 1Cor 9,16-19.22-23; Mc 1,29-39

Celebriamo l’eucaristia in questa chiesa che ricorda l’ultimo incontro tra Benedetto e Scolastica, l’ultimo loro colloquio, che le lacrime e soprattutto l’amore di Scolastica riescono a prolungare per tutta la notte. Come tutti ben sappiamo, san Gregorio Magno, commentando quanto avvenne in quell’incontro, afferma che «poté di più colei che amo di più». San Benedetto è il maestro di tutti coloro che desiderano non anteporre nulla all’amore di Cristo, eppure lui stesso deve farsi discepolo per imparare dalla sorella Scolastica che cosa significhi davvero amare e quale sia la potenza dell’amore.

Nella sua Regola egli scrive che, quando preghiamo, dobbiamo essere ben consapevoli che non saremo esauditi da Dio per le nostre molte parole, ma per la purezza del nostro cuore e la compunzione fino alle lacrime (cf. RB 20,3). Dio esaudisce santa Scolastica perché conosce la purezza del suo cuore, un cuore totalmente afferrato e trasformato dall’amore, e riconosce nelle sue lacrime il mistero della sua stessa compassione divina.

E così Scolastica, una donna, diviene una maestra dalla quale anche san Benedetto, il maestro dei cercatori di Dio, deve imparare, così come, nella pagina di Marco che abbiamo ascoltato, c’è un’altra donna che viene da Gesù mostrata come maestra dalla quale ogni discepolo deve imparare. Ed è la suocera di Pietro, questa donna anziana e malata che Gesù guarisce, così che ella possa tornare a servire. Viene guarita per servire, e da lei dobbiamo imparare anche noi: dobbiamo essere guariti, ma non semplicemente per stare bene, e così rincorrere la nostra felicità personale, individuale, egoistica.

Dobbiamo lasciarci guarire, dobbiamo stare bene, per servire il bene degli altri, il bene comune, condiviso, il bene di tutti. Anche nel servizio infatti si esprime quella potenza dell’amore che tutto può, del quale ci è testimone santa Scolastica.

Insieme a questa vedova la liturgia della Parola oggi ci presenta un’altra figura significativa, nella prima lettura, ed è Giobbe. Giobbe è così duramente provato dalla sua malattia da giungere a esclamare: «”Quando mi alzerò?”. La notte si fa lunga e sono stanco di rigirarmi fino all’alba» (Gb 7,4). Il dolore che lo opprime e l’angoscia che gli serra il respiro sono così insopportabili da chiudere del tutto l’orizzonte della speranza. La notte si allunga e sembra non terminare più; è come se non ci fosse più un’alba nuova possibile, sperabile. «Quando mi alzerò?».

All’interrogativo di Giobbe risponde Marco con il racconto della guarigione della suocera di Pietro: Gesù – narra infatti l’evangelista – «si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano: la febbre la lasciò ed ella li serviva» (Mc 1,31). La domanda di Giobbe viene in qualche modo trasformata: dal domandarsi «quando mi alzerò» occorre passare a un interrogativo diverso: «chi mi rialzerà?».

Chi potrà amarmi a tal punto da rialzarmi dalla mia sofferenza? In greco, il verbo ‘alzarsi’ che Marco qui usa è lo stesso verbo (egeiro in greco) con il quale egli descriverà il rialzarsi di Gesù dalla polvere della morte. È un verbo di risurrezione. La suocera di Pietro viene fatta risorgere da Gesù per tornare a servire, sull’esempio di Gesù stesso, che è venuto tra di noi non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti (cf. Mc 10,45). Questa è la potenza dell’amore. L’amore vero dona la propria vita e dona vita, la rinnova, la rigenera, la risuscita.

L’amore vero ci fa servire, ci rende servi gli uni degli altri, nello stile nel quale san Paolo dichiara di aver vissuto, scrivendo ai Corinzi, come abbiamo ascoltato nella seconda lettura:

Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero. Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno (1Cor 9,19.22).

Questa è la potenza dell’amore, testimoniato da santa Scolastica: un amore che ci rialza, ci fa risorgere, non per stare bene nel nostro egoismo, ma per condurci nel servizio di chi sa farsi servo degli altri, fino al punto da diventare debole per i deboli; fino al punto di farsi tutto per tutti. Notate questa totalità: tutto per tutti. Ecco la potenza dell’amore, ecco la sua totalità: ci fa essere tutto per tutti.

Noi vorremmo possedere tutto, illudendoci di trovare in questo possesso totalizzante la felicità che desideriamo, il bene al quale aspiriamo; invece il segreto della gioia vera, il segreto della vita autentica e pienamente realizzata non è possedere tutto, ma farsi tutto per tutti. È la potenza delle lacrime di santa Scolastica, che sono lacrime che esprimono non soltanto la purezza del cuore, ma anche la profondità della compassione.

Oggi viviamo in tempi non facili. Pensiamo alle lacrime di chi, in guerra, piange la morte dei propri cari. Pensiamo alle lacrime di chi vede il proprio marito non tornare dal fronte, in Ucraina come in Russia, a Gaza come in tante altre, troppe parti della terra. Tra poco celebreremo gli ottanta anni dalla distruzione dell’Abbazia di Montecassino e poi della città di Cassino. Ci sono tanti cimiteri di guerra in queste nostre terre, tanti soldati lì sepolti, che non possono non farci pensare alle lacrime delle loro madri, dei loro padri, dei loro fratelli e sorelle, amici, che hanno atteso inutilmente il loro ritorno a casa.

Ma pensiamo anche alle lacrime dei nostri giorni, di chi non ce la fa più, di chi teme di perdere il posto di lavoro, di chi non ha più, come Giobbe, la speranza in una nuova alba e sa solo contare quanto sia lunga la notte. Ci sono le lacrime di chi soffre, di chi ha perso la fiducia, di chi non trova aiuto, sostegno, parole di conforto e di consolazione.

Santa Scolastica ci insegni a trasformare queste lacrime di sofferenza in lacrime di amore, in lacrime che conoscono la potenza di quell’amore che tutto può, perché sa farsi tutto per tutti, e non teme di diventare debole con i deboli, per guadagnare i deboli e guadagnarli alla vita vera, alla speranza, alla fiducia, a un senso rinnovato per la loro esistenza e per il loro impegno.

Santa Scolastica ha versato le sue lacrime per prolungare il suo colloquio con il fratello Benedetto. Non le ha versate per se stessa, ma per prolungare e approfondire la relazione con il fratello. E questa deve diventare una scuola anche per noi: dobbiamo far sì che la potenza dell’amore sostenga le nostre relazioni, le renda più vere e più solidali, ci faccia uscire dai nostri egoismi e dalle nostre piccoli e grandi conflittualità, dalla ricerca del nostro benessere che ci conduce in una competizione gli uni contro gli altri, per andare al contrario non contro, ma verso l’altro, verso gli altri, soprattutto verso chi è più debole, nella logica del farsi tutto per tutti, nella logica del saper servire il bene dell’altro, il bene comune, persino anteponendolo al proprio.

La memoria che stiamo celebrando in questo ottantesimo ci aiuti a imparare, dalle sofferenze del passato, a come farci prossimi e solidali con le sofferenze del presente, perché anche le nostre lacrime, come quelle di santa Scolastica, ci aiutino a scoprire quale sia la vera potenza dell’amore. Perché può di più colei, colui, che ama di più. E sa amare con un amore che, come quello della suocera di Pietro, diventa servizio. Servizio degli altri, servizio del bene comune, servizio del bene di tutti, e tra i tutti, soprattutto dei più deboli.