L’abate Luca presiede la Celebrazione eucaristica nel Monastero di Santa Scolastica a Cassino

Dopo aver presieduto la Celebrazione eucaristica in abbazia questa mattina nella Basilica Cattedrale, nel pomeriggio l’Abate Luca ha presieduto la Celebrazione nel Monastero di Santa Scolastica a Cassino con la comunità di Madre Placida. Le condizioni metereologiche non hanno consentito che la festa si svolgesse come di consueto, ma la partecipazione è stata comunque sentita e numerosa.

Di seguito l’omelia dell’abate Luca pronunciata questo pomeriggio.

Santa Scolastica
Monastero di Cassino, 10 febbraio 2024

Letture: Ct 8,6-7; Sal 130 (131); 1Cor 12,31-13,13; Mt 11,25-30

Santa Scolastica è colei la cui preghiera è stata esaudita da Dio. Come narra san Gregorio Magno nei suoi Dialoghi, Scolastica può dire al fratello Benedetto: «Ecco, io ho pregato te, e tu non mi hai voluto ascoltare; ho pregato il mio Signore e lui mi ha ascoltato». Dio ascolta la preghiera di santa Scolastica perché nasce dall’amore e condivide la potenza dell’amore – «poté di più colei che amò di più», come sempre scrive san Gregorio – ma nello stesso tempo è una preghiera vissuta nella purezza del cuore, con lacrime e nell’umiltà. Amore e umiltà: sono due valori, due atteggiamenti sui quali insistono anche le letture bibliche che abbiamo ascoltato.

Prima ancora che a guardare alla preghiera di santa Scolastica, la liturgia della Parola ci invita oggi a guardare alla preghiera di Gesù. L’evangelista Matteo, infatti, ci propone uno dei pochi passi evangelici che aprono uno squarcio e ci rivelano quale fosse il contenuto della preghiera di Gesù. Ed è una preghiera di lode e di ringraziamento: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza» (Mt 11,25-26). E tra questi piccoli che godono della rivelazione del Padre e possono conoscere il suo volto, Gesù pone anzitutto se stesso.

È lui il piccolo per eccellenza, al quale il Padre si compiace di donare la pienezza della conoscenza del suo mistero, come Gesù stesso riconosce: «Tutto è stato dato a me dal Padre mio, nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».

Questo è vero per Gesù e soltanto per lui, nella singolarità della sua esperienza. Eppure è un’esperienza che egli dona anche a noi, in qualche misura, di poter condividere. Egli ci invita a imparare da lui, che è mite e umile di cuore. Anche per noi, dunque, è possibile lasciarci conoscere da Dio e conoscere il suo volto, attraverso una via di umiltà e di amore. Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ha scelto di vivere un mistero di spoliazione, di abbassamento, di umiltà, come ricorda san Paolo nella lettera ai Filippesi. E questo cammino lo propone anche a noi: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparare da me che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29).

La mitezza e l’umiltà sono infatti caratteristiche tipiche, autentiche, del vero amore. Nella seconda lettura abbiamo ascoltato il celebre inno alla carità, l’inno all’amore che Paolo propone come via da seguire ai cristiani di Corinto, che rischiavano di inorgoglirsi a motivo dei doni spirituali che presupponevano di possedere, e che proprio a causa di questa pretesa orgogliosa creavano tensioni e divisioni nella comunità. E san Paolo, scrivendo loro, mostra come il dono per eccellenza, il carisma più grande e più sublime, sia proprio la carità, ma una carità umile e mite, come quella che può vivere chi impara da Gesù, che è mite e umile di cuore.

Infatti, scrive Paolo, la carità non consiste nel compiere grandi cose, come parlare le lingue, o possedere il dono della profezia, o consegnare tutti i propri beni e persino la propria vita. Non consiste in un ‘io’ che può vantarsi di tutto quello che compie, anche nel nome del Signore. La carità è anzitutto mite e paziente, accogliente, ospitale, prima ancora che fare qualcosa per gli altri consiste nell’aprire la propria vita e il proprio cuore all’accoglienza dell’altro dentro di sé. E allora, per vivere questa accoglienza, per fare spazio all’altro, il mio ‘io’ deve diminuire, deve abbassarsi, deve percorrere una via di umiltà, appunto per lasciare spazio, per non riempire tutto di sé, per consentire all’altro di trovare accoglienza nella propria vita. In questo modo diventiamo capaci di accogliere dentro di noi anche tutto il mistero di Dio e del suo amore. L’umiltà della carità sta anche in questo: nella consapevolezza che il primato dell’amore è di Dio, non è nostro. È lui che ci ha amato e continua ad amarci per primo, in modo preveniente e gratuito. Santa Scolastica è certa di essere ascoltata da Dio nella propria preghiera perché è certa che l’amore di Dio è più grande e viene prima di ogni nostro desiderio e tentativo di amare. Abbiamo allora bisogno dell’umiltà, che ci aiuti a non pretendere di fare grandi cose, ma ci educhi ad accogliere questo amore di Dio in noi, perché agisca dentro di noi e anche attraverso di noi.

È per questa via dell’umiltà che possiamo giungere a quella potenza dell’amore di cui ci ha parlato il Cantico dei Cantici nella prima lettura, un amore che le grandi acque non possono spegnere né i fiumi travolgere. Un amore, cioè, fedele, perseverante, tenace, che sa resistere di fronte a ogni ostacolo o contrarietà, che non si lascia scoraggiare dai fallimenti e dai contrasti che può incontrare. Così è l’amore di santa Scolastica, umile e perciò fedele, umile e perciò tenace, capace di perseverare e di non lasciarsi scoraggiare dall’iniziale rifiuto del fratello Benedetto.

Così, in modo quasi paradossale, santa Scolastica può in quell’ultimo incontro insegnare al fratello Benedetto proprio quello che dal fratello lei stessa per prima ha imparato. Perché la qualità di questo amore Scolastica l’ha potuta apprendere non solo alla scuola di Gesù, mite e umile di cuore, ma anche alla scuola della Regola di san Benedetto. Al cuore della proposta spirituale che san Benedetto ci offre attraverso la sua Regola, infatti, c’è il capitolo settimo con l’immagine della scala dell’umiltà, che si può salire scendendo i suoi gradini, e in cima a questa scala chi è disposto a percorrerla con sapienza trova la pienezza della carità, un amore vero, profondo, forte e fedele, che scaccia ogni paura. Niente, neppure la paura, può vincere ed essere più forte di questo amore. Ma per giungervi occorre percorrere con pazienza tutti i gradini della scala.

San Paolo parla della carità come di una via. Scrive infatti ai Corinzi: «Desiderate intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via più sublime» (1Cor 12,31). Questa via che è la carità. San Benedetto ne parla con un’immagine simile: non una via, ma una scala. Per giungere all’amore vero occorre possedere la pazienza e l’umiltà di compiere un lungo cammino, senza scoraggiarsi, con fedeltà, passo dopo passo, gradino dopo gradino.

Santa Scolastica, che poté di più perché amò di più, e la cui preghiera è stata esaudita, preghi ora anche per noi, interceda per ciascuno di noi, per le nostre comunità, per le nostre famiglie, per ogni nostra realtà, affinché sappiamo percorre questa via o questa scala e giungere, attraverso l’umiltà, all’amore vero, e così conoscere Dio, che è amore. Interceda soprattutto per quanti, tra di noi, nel nostro territorio, sono maggiormente nel bisogno, nella precarietà, vivono situazioni di dolore e di sofferenza, di angoscia di fronte al futuro. E interceda perché diventiamo capaci di legami più veri, nell’umiltà dell’amore, capaci di sostegni solidali nelle difficoltà.