“Stendendosi sulla croce Gesù l’ha resa strumento di salvezza e sorgente inesauribile di grazia”: l’Abate Donato nell’omelia del Venerdì Santo

VENERDÌ SANTO 2021 – Celebrazione della Passione e Morte del Signore

Sorelle e fratelli carissimi,
desidero invitarvi a contemplare con me il mistero della crocifissione di Gesù, Figlio di Dio, con l’aiuto di due strofe che fanno parte di un antico inno liturgico, il Vexilla regis, un inno che magnifica il trionfo della croce redentrice di Gesù. Cominciamo con la strofa seguente:
«Salve, o altare, salve, o vittima della gloriosa passione / nella quale la Vita ha sopportato la morte e con la morte ha ridato la Vita (Salve, ara, salve, victima, de passionis gloria / qua vita mortem pertulit et morte vitam reddidit!

Il concetto chiave di questa strofa è rappresentato dal termine “vita” che, come si intuisce dal contesto, non va inteso come un concetto generico e astratto, ma come una realtà “personificata”. È, infatti, riferito a Cristo, «autore della vita» (cf. At 3,14-15).

Nel vangelo di Giovanni Gesù stesso, rivolgendosi a Marta prima di risuscitare il fratello Lazzaro, si era definito così: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno» (Gv 11,25-26).

E a Tommaso, che dichiarava di non sapere dove Gesù stesse andando e si chiedeva come fosse possibile per lui e per gli altri discepoli conoscere la via che avrebbe percorso, il Signore aveva risposto: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6).

«Non è forse vita il Cristo? – si domanda sant’Agostino – Eppure Cristo ha voluto subire la morte! Ma nell’atto di morire del Cristo perì la morte: perché la vita morendo uccise la morte. La pienezza della vita ingoiò la morte; la morte fu come assorbita nel corpo di Cristo».

La passione e morte di Gesù sono state dunque «come un laccio teso al potere della morte, poiché la morte del Signore era il principio e la fonte dell’incorruttibilità e della novità di vita» (S. Cirillo d’Alessandria). Ecco perché la Chiesa, estasiata nella sua ammirazione della croce vittoriosa, si lascia trasportare dalla sua fede e dal suo amore, e – nella strofa che ora prenderemo in esame –, esplode in un grido di speranza: «Salve, o croce, unica speranza! in questo tempo di passione / accresci nei fedeli la grazia e rimetti i peccati ai peccatori (O crux, ave, spes unica! hoc passionis tempore / piis adauge gratiam reisque dele crimina

La speranza dei credenti è riposta nella croce di Gesù. Stendendosi su di essa Egli l’ha resa strumento di salvezza e sorgente inesauribile di grazia e di benedizione. Se noi cristiani veneriamo la croce di Cristo quale vessillo della nostra salvezza, non è dunque per un malsano masochismo, ma per l’efficacia salvifica che essa racchiude, per l’immenso atto d’amore di cui essa è segno visibile.

Ma la croce sarà un segno eloquente di speranza nella misura in cui segnerà in maniera sempre più incisiva anche la nostra esistenza. È nella croce, infatti, che è racchiuso il modello a cui il cristiano è chiamato a guardare, se vuole seguire le orme del suo Signore e fare anch’egli della propria vita un dono concreto di amore per gli altri.

Al riguardo, le parole che Gesù aveva rivolto ai suoi discepoli, e che ora rivolge a noi: «Chi vuol venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24), sono emblematiche. Per noi cristiani, la croce non rappresenta un legame occasionale con l’esperienza di Gesù, ma un legame continuo. Nella sua croce troviamo l’enunciazione definitiva del suo Vangelo, la massima concretizzazione del suo messaggio di amore, ed è dunque dalla croce che prende avvio, ogni giorno daccapo, l’esistenza nuova a cui siamo chiamati, quella che si declina nell’umile dono di noi stessi al servizio dei fratelli.

La croce, infine, richiama il mistero della risurrezione che già riluce in essa, ed esprime un messaggio di speranza per tutti noi, continuamente confrontati con l’esperienza del peccato che ci ferisce, e dalla quale la grazia ci risolleva, ci fa risorgere.
Ma è anche un messaggio di speranza per tutti coloro che soffrono a motivo delle ingiustizie, dei soprusi, della violenza e della guerra o – come sta ora avvenendo in tutto il mondo – a causa della pandemia da coronavirus. E poi il pensiero corre a tutti quei cristiani che – ancora oggi – mettono a repentaglio la propria vita a causa del Vangelo, della verità, della giustizia, della pace, della libertà.

Il Cristo inchiodato sulla croce è per tutti costoro segno di speranza, perché, alla luce della sua Risurrezione, Egli offre un senso al proprio lottare e al proprio soffrire e risplende come garanzia di vittoria su ogni forma di male e di sofferenza.
Per questo, dal profondo del nostro cuore, contemplando il Crocifisso, diciamo: «Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo, perché con la tua Santa Croce hai redento il mondo»!