Venerdì Santo a Montecassino: l’omelia dell’Abate Donato

VENERDÌ SANTO 2022
Celebrazione della Passione e Morte del Signore

Un’antica leggenda narra che dopo la condanna a morte di Gesù, tutti gli alberi si rifiutarono di offrire il proprio legno per fabbricare la croce sulla quale doveva essere crocifisso. A nulla, infatti, servirono i colpi dei boscaioli o dei falegnami, poiché il legno che essi cercavano di modellare finiva sempre in frantumi. Soltanto il leccio non si ribellò e decise di prestare il proprio legno perché si costruisse la croce con la quale il Cristo avrebbe redento il mondo.

La credenza popolare ha fatto sua questa leggenda, se anche nei Detti del beato Egidio – il terzo compagno di San Francesco – si parla della predilezione di Cristo per il leccio, in quanto fu l’unico albero a capire che doveva sacrificarsi per contribuire alla Redenzione dell’umanità.

Questa leggenda del leccio che si sacrifica affinché sulla croce che sarà ricavata dal suo legno Gesù possa sacrificarsi per la salvezza del mondo, mi offre il destro per riallacciarmi ad un antico inno, composto nel VI secolo dal poeta e innografo Venanzio Fortunato, il Pange, lingua, gloriosi.

La seconda parte di questo inno – quella che comincia con le parole En acetum, fel, arundo – viene cantata alle Lodi mattutine dalla Domenica delle Palme fino al Venerdì Santo. Qui la croce è paragonata ad un albero che non ha eguali fra tutti gli altri: «O Croce fedele, albero unico / e tra tutti nobile! / Nessuna foresta ne ha mai prodotto uno di simile». L’unicità di questo albero consiste proprio nel fatto che diventa veicolo della fedeltà divina, poiché con la crocifissione del proprio Figlio Dio ha dato prova del suo amore per noi.
Quindi, il poeta si lascia trasportare da sentimenti venati di profonda tenerezza, e con accenti vibranti definisce la croce come il «dolce legno che sostiene / il dolce Peso con dolci chiodi!». Con lo stesso slancio del cuore e gli stessi accenti di affettuosa delicatezza, l’innografo si rivolge poi direttamente all’albero della Croce, esortandolo così: «Piega i tuoi rami, o grande albero, / allenta la tensione delle tue fibre, / mitiga quella durezza / di cui ti ha provvisto la natura, / per far giacere su un più tenero legno / le membra del re superno». Quel legno, benché ormai privo della linfa vitale, e trasformato in uno strumento di morte, è invitato ad allentare la sua durezza e a farsi duttile per accogliere su di sé il Signore dell’universo, alleviando e rendendo meno dolorosi il suo calvario e la sua morte.

Infine, l’accento si sposta dalla croce di legno, sulla quale è stato appeso il Redentore, alla croce considerata nella sua valenza teologica, ossia come lo strumento di salvezza per il mondo intero: «Tu sola fosti meritevole / di portare il riscatto del mondo, / tu che, quale nocchiero, / hai meritato di preparare un porto / al mondo naufrago, / tu che sei stata consacrata dal sacro sangue / sgorgato dal corpo dell’Agnello».

Qui Cristo è indicato come il “riscatto” che – solo – avrebbe potuto estinguere il debito contratto da Adamo ed Eva col peccato originale. In altre parole, solo il Cristo immolato sulla croce per amore avrebbe potuto riportare l’essere umano alla comunione con Dio, comunione che era stata infranta dai nostri progenitori. E per realizzare questo riscatto, Gesù ha abbracciato la croce, che l’innografo paragona al nocchiero che conduce l’imbarcazione al porto sicuro e sospirato. In tal modo, la croce, consacrata dal sangue dell’Agnello immolato, diventa per l’uomo principio di salvezza. «Essa – scrive san Giovanni Crisostomo – è per noi la distruzione dell’odio, la sicurezza della pace, il tesoro che supera ogni bene. Per mezzo suo non siamo più nella solitudine, perché abbiamo ritrovato lo sposo; non abbiamo più paura del lupo, perché abbiamo ormai il buon pastore» (Giovanni Crisostomo, Omelia 1).
Sorelle e fratelli carissimi, la contemplazione del Cristo crocifisso e l’adorazione della Santa Croce, che faremo tra poco, ispirino la nostra preghiera e il nostro desiderio di seguire quotidianamente le orme di Gesù crocifisso, lasciandoci attirare nella dinamica del sacrificio di Sé, sorretto da un amore che salva.

La nostra preghiera solidarizzi in particolare con quei fratelli e sorelle nei quali Gesù continua ad essere crocifisso a causa delle violenze, delle sopraffazioni e delle guerre folli e fratricide che continuano ad insanguinare il nostro pianeta, in Ucraina come in altre parti del mondo. Come ci ha ricordato recentemente papa Francesco, «Cristo è ancora una volta inchiodato alla croce nelle madri che piangono la morte ingiusta dei mariti e dei figli. È crocifisso nei profughi che fuggono dalle bombe con i bambini in braccio. È crocifisso negli anziani lasciati soli a morire, nei giovani privati di futuro, nei soldati mandati a uccidere i loro fratelli. Cristo è crocifisso lì, oggi» (Omelia della Domenica delle Palme 2022).

E là dove si torna a crocifiggere Cristo – lontano da noi o dietro l’angolo di casa – deve anche intensificarsi il nostro impegno a calcare i sentieri della giustizia, della concordia, della pace e dell’amore, opponendoci con risolutezza ad ogni forma di violenza, anche verbale, ad ogni forma di sopruso, anche piccola, ad ogni espressione di odio, anche solo velata. Questo è il modo con cui anche noi possiamo partecipare attivamente alla forza propulsiva della salvezza sprigionata dalla Croce di Gesù, nostro Redentore. E così sia.