Domenica primo ottobre, Montecassino ricorda la Dedicazione della Basilica Cattedrale

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Il 1° ottobre del 1071 papa Alessandro II consacrò la Basilica desideriana. Desiderio, abate di Montecassino poi Papa col nome di Vittore III, aveva abbellito e impreziosito l’Abbazia e la stessa Basilica anche grazie ad artisti provenienti da Costantinopoli, che contribuirono alla realizzazione del pavimento precosmatesco.

È ricordato nelle cronache del tempo come uno degli eventi più importanti di quegli anni, che vide la partecipazione di numerose personalità. Lo stesso Luca Giordano ne testimonia il fasto in una delle sue opere, che occupava lo spazio in cui oggi si può ammirare l’affresco di Pietro Annigoni del 1978, La Gloria di San Benedetto.

Anche oggi l’Abate Luca e la Comunità Monastica,  riuniti in Basilica per la S.Messa Conventuale delle 10.30, hanno ricordato quel primo ottobre del 1071 attraverso le parole del padre Abate:

Dedicazione della Basilica Cattedrale di Montecassino
1 ottobre 2023

Letture: Ez 47,1-2.8-9.12; Sal 45; 1Pt 2,4-9; Gv 4,19-24 

Celebriamo oggi la dedicazione della Basilica Cattedrale della nostra Abbazia e lo facciamo il 1 ottobre, facendo memoria del giorno nel quale papa Alessandro II, nel 1071, consacrò la Chiesa voluta dall’abate Desiderio. Le letture che abbiamo ascoltato ci ricordano però che al centro della nostra celebrazione non ci sono tanto delle mura di pietra, ma ci siamo noi, che ci raduniamo in questa Chiesa come «stirpe eletta» – così ci definisce l’apostolo Pietro nella seconda lettura che abbiamo ascoltato – come «sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa».

Papa san Paolo VI, che a sua volta il 24 ottobre del 1964 ha consacrato questa chiesa, riedificata dopo la distruzione bellica, in una sua riflessione durante un’udienza generale del 1965 affermava che «una chiesa-edificio è per la Chiesa-comunità. È per accogliere i fedeli e farne, almeno durante la preghiera, “un cuor solo e un’anima sola”. È la casa della carità per i fratelli. Un’intenzione ecumenica riempie l’atmosfera contenuta nelle pareti, rigorosamente definite e distintive, d’un tempio cattolico: vorremmo tutti presenti, tutti fedeli, tutti fratelli. Vorremmo una comunione totale. Ogni assenza qui ci fa soffrire. Tutti e ognuno qua sono spiritualmente invitati; per ciascuno v’è un ricordo, una preghiera, un filo di congiunzione nella carità. E il pensiero si approfondisce e si trasforma: la chiesa-edificio è immagine, è simbolo della Chiesa-comunità». Sono parole significative, tanto più ascoltate oggi, alla vigilia della prossima Assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi che sarà chiamata proprio a riflettere sul cammino sinodale della Chiesa, un cammino che ha valore se riesce a esprimere, ed anche a meglio definire, il volto di una Chiesa che vuole essere una comunione, comunione di fratelli e sorelle che stanno insieme non perché si sono scelti, non perché nutrono vicendevoli simpatie e affetti, non perché la pensano allo stesso modo, ma perché si riconoscono radunati da Dio Padre e condividono la stessa fede in Gesù Cristo, morto e risorto per noi, che nella sua Pasqua ci ha donato il suo Spirito di comunione e di unità.

Il Sinodo evoca l’immagine di un cammino. Il termine greco significa appunto cammino condiviso, camminare insieme. Nello stesso tempo, il pregare oggi insieme in questa Chiesa ci ricorda che ogni cammino sinodale, per essere autentico e fecondo, ha bisogno di tempi di sosta. Per camminare insieme dobbiamo anzitutto saper sostare insieme, nella preghiera condivisa, nell’ascolto unanime della Parola di Dio, nella celebrazione dell’eucaristica, che rendendoci commensali dello stesso pane e dello stesso calice, ci rende anche una cosa sola tra di noi, in Cristo Gesù.

Sono molti i doni che riceviamo da questo sostare insieme, nella preghiera e nella celebrazione liturgica, in questa chiesa come in ogni altra chiesa sparsa sulla faccia della terra. Sono molti, ma in particolare le letture che abbiamo ascoltato mettono in luce tre doni sopra gli altri.

Il profeta Ezechiele ci offre l’immagine di un fiume di acqua viva che sgorga dal tempio del Signore, giunge a risanare le acque del mare e porta vita e fecondità ovunque giunga. Un giudeo che ascoltava queste parole pensava anzitutto al mare più prossimo alla sua esistenza, e cioè al Mar Morto, chiamato così proprio perché in esso non c’è vita, a motivo delle sue acque eccessivamente salate. Ebbene, le acque del tempio portano vita anche a questo mare Morto, lo rendono abbondantissimo di pesce. Inoltre, lungo il torrente – aggiunge Ezechiele – su una riva e sull’altra crescerà ogni sorta di alberi da frutto, i cui frutti matureranno ogni mese dell’anno, in ogni stagione, e non solo nelle stagioni feconde, ma persino in quelle sterili. Ecco il significato di queste acque: esse portano vita e ci rendono portatori di vita. Chi si disseta alle acque di questo fiume, non solo passa dalla morte alla vita, ma diviene portatore di vita, capace di produrre frutti in ogni stagione dell’anno, e dunque anche in ogni stagione della vita, quando si è giovani ed anche quando si è anziani! Noi ci raduniamo in questa chiesa con questo desiderio e attendendo questo dono: che il Signore ci faccia vivere e ci renda capaci di portare frutti di vita per gli altri.

Un secondo dono ci viene ricordato dall’apostolo Pietro nella seconda lettura, che possiamo rileggere nella luce di quanto Paolo VI diceva nel testo che ho prima citato: ogni chiesa è «la casa della carità per i fratelli». Il fondamento della nostra comunione, ci dice san Pietro, è la pietra scartata dai costruttori. È cioè il Signore Gesù che si è lasciato consegnare alla morte di croce per rivelare quanto il Padre ci ami. Noi ci raduniamo in questa Chiesa attratti dalla Pasqua di Gesù, attratti dalla sua croce, per imparare ad amarci come lui ci ha amati. Dobbiamo essere pietre vive edificate sulla pietra scartata, vale a dire sulla pietra che si è lasciata scartare per amore. E dunque, non può che essere l’amore il cemento che ci tiene uniti a Cristo e alle altre pietre con le quali siamo chiamati a edificare l’edificio santo della comunità cristiana. Ci raduniamo in questa chiesa che è la casa della carità per i fratelli perché la carità che qui riceviamo diventi la carità che anima e sostiene ogni nostro impegno, fuori di questa chiesa. E allora, sostando qui nella carità, impariamo davvero a camminare insieme agli altri nella carità.

Ecco allora un terzo dono che riceviamo. Entriamo in questa chiesa per cercare e lodare Dio, ma qui poi pian piano scopriamo un altro tempio misterioso. Lo ricorda Gesù alla samaritana, nel brano tratto dall’evangelo secondo Giovanni che abbiamo ascoltato. Gesù annuncia alla donna che in lui è venuto il tempo nel quale dobbiamo scoprire un altro tempio: non il tempio di Gerusalemme come volevano i giudei, non il tempio sul monte Garizim, come volevano i samaritani, e neppure ogni altro tempio che possiamo noi costruire; niente di tutto questo: dobbiamo scoprire quel tempio nel quale possiamo adorare il Padre in Spirito e verità. Verità, nel Vangelo di Giovanni, è Gesù stesso. Adorare il Padre in Spirito e verità significa adorarlo in Gesù. Lo Spirito ci conduce nella verità tutta intera, ci conduce in Gesù, perché è in lui, rimanendo in lui, dimorando in lui, condividendo il suo pensare e il suo sentire, facendo di lui il nostro vero tempio, che possiamo davvero adorare il Padre. E allora, se con Paolo VI dicevamo che ogni chiesa-edificio è simbolo della Chiesa-comunità, possiamo anche aggiungere che ogni chiesa-edificio è simbolo di Gesù stesso. Entrando in una chiesa entriamo in lui, ci lasciamo radunare come comunità, ma come comunità che è il suo corpo, che è membra di quel corpo di cui Gesù risorto è il capo, è la testa. E allora insieme a lui, con lui, ancora più profondamente in lui, possiamo davvero elevare al Padre la lode e la preghiera che gli sono gradite, perché sono la preghiera e la lode del Figlio amato. E le nostre tante voci diventano una sola voce, la voce del Figlio amato.

Per camminare insieme come comunità cristiana, per vivere un’autentica esperienza sinodale, abbiamo bisogno di scoprire e di accogliere questi doni, che ci vengono offerti ogni volta che ci raduniamo in chiesa e vi celebriamo le nostre liturgie. Abbiamo bisogno di un dono che, come acqua viva, ci guarisca e ci risani, ci faccia passare dalla morte alla vita, e ci renda portatori di vita per gli altri. Abbiamo bisogno del dono della carità, perché sia davvero il cemento che ci unisce come pietre vive alla pietra che è Cristo, e così ci unisca tra di noi. Abbiamo bisogno del dono dello Spirito, che ci conduca dentro quella verità che è la persona di Gesù risorto, perché è in lui e attraverso di lui che la nostra preghiera sale gradita al Padre, perché preghiera del Figlio. Donaci Signore la tua acqua che ci risana, donaci la carità che ci unisce, donaci lo Spirito che ci rende una sola cosa in Gesù, il Risorto e il Vivente per sempre!

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