Montecassino, sabato 10 febbraio Solennità di Santa Scolastica

Questa mattina, sabato 10 febbraio 2024, Solennità di santa Scolastica, sorella di san Benedetto, l’abate Luca ha presieduto alle ore 10,30 nella Basilica Cattedrale alle ore 10,30la Celebrazione eucaristica .

Nella sua omelia il riferimento alla morte di santa Scolastica e all’episodio dell’ultimo incontro con suo fratello Benedetto presso la Chiesetta del Colloquio dove la scorsa domenica la comunità di Villa Santa Lucia si è raccolta per ricordare appunto questa consuetudine dei due fratelli di Norcia – descritta da san Gregorio Magno nel libro II dei suoi Dialoghi dedicato alla vita del Patrono Primario d’Europa.

Il testo integrale dell’omelia di questa mattina dell’Abate Luca e alcune foto.

Santa Scolastica  – 10 febbraio 2024
Letture: Os 2,14-15.19-20; Sal 44; 1Gv 4,7-10.15-16; Lc 10,38-42

Celebriamo oggi santa Scolastica, la cui morte è così descritta da san Gregorio Magno, nel Secondo Libro dei Dialoghi:

Tre giorni dopo (il loro ultimo colloquio) Benedetto era in cella a pregare. Alzando gli occhi al cielo, vide l’anima di sua sorella che, uscita dal corpo, si dirigeva in figura di colomba, verso le misteriose profondità dei cieli.

Nei Vangeli Sinottici i cieli si aprono e lo Spirito Santo scende su Gesù in forma di colomba. Ora i cieli si aprono per accogliere l’anima di Scolastica che, sempre in forma di colomba, sale dalla terra al cielo. La vita di Scolastica si è lasciata interamente plasmare e trasformare dallo Spirito Santo, e questa trasformazione spirituale è avvenuta attraverso la via dell’amore, come sempre san Gregorio ci ricorda narrando l’ultimo colloquio di Scolastica con il fratello Benedetto, quando «poté di più colei che amò di più». L’amore consente alla nostra vita di accogliere la potenza dello Spirito Santo, che santifica la nostra debolezza, rendendo la nostra umanità simile all’umanità crocifissa e glorificata di Gesù risorto.

San Benedetto vuole che il cammino monastico conduca il monaco, la monaca a non anteporre nulla all’amore di Cristo, e che cosa questo significhi anch’egli deve impararlo dalla sorella Scolastica. Ed è di questo amore che ci parla la Parola di Dio che è stata proclamata, in tutte e tre le letture che abbiamo ascoltato. Proviamo a ripercorrerle e a interrogarle, perché possano aiutarci a capire che cosa significhi amare, e soprattutto a comprendere come la vita monastica possa consentire con i suoi valori e le sue proposte, non solo ai monaci, ma a ogni credente, di percorrere la stessa via percorsa da Scolastica. Una via che non rimane prigioniera della terra e dei suoi corti orizzonti, ma sale al cielo, verso il cielo aperto, un cielo che consente sin da ora al nostro sguardo di ampliare la sua visuale e al tempo stesso di approfondirla.

Il profeta Osea ci conduce nel deserto, che non è soltanto luogo di solitudine, di fame e di sete, ma è luogo in cui il nostro desiderio si lascia purificare da tanti attaccamenti idolatrici, per imparare a conoscere davvero il Signore, attraverso la via dell’intimità dell’amore.

Mediante il suo profeta è Dio stesso che promette: «Perciò, ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore» (Os 2,16). Dio parla al nostro cuore, apre il suo cuore e parla al nostro cuore, come fa un innamorato con la sua donna, o una donna con il suo uomo. È il dialogo tra due innamorati, non solo da bocca a bocca, ma da cuore a cuore. Per questo bisogna stare nel deserto, bisogna cioè lasciarsi spogliare da tante altre realtà che ci seducono, ci attraggono, e in questo modo ci distraggono, impedendoci di ascoltare questa voce di Dio che parla al nostro cuore. Aprendo con il Prologo la sua Regola, san Benedetto ci chiede anzitutto di entrare in questo ascolto: «ascolta, o figlio».

È l’ascolto dell’obbedienza, ma non solo, è soprattutto l’ascolto dell’amore, che ci consente poi di riconoscere, tra le tante, l’unica voce che ci promette di saziare davvero il nostro desiderio di vita. «Chi è l’uomo che vuole la vita e brama vedere giorni felici?» (RB, Pr 15). Per ascoltare questa voce e discernere questa promessa non è necessario inoltrarsi in un deserto geografico, occorre però imparare a discendere nel silenzio del proprio cuore, perché solo lì altre voci tacciono, scompaiono, entrano nel silenzio, e parla solamente la voce di Dio. Lì, nel profondo del cuore, nel profondo della coscienza. L’amore autentico ci chiede anzitutto di compiere questo primo passo, scendere nel proprio cuore per ascoltarvi la voce di Dio che ci attrae a sé con parole di amore. E allora lo conosciamo davvero, come sempre promette Osea: «ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore (v. 22).

San Giovanni lo ribadisce nella sua prima lettera, che abbiamo ascoltato come seconda lettura: «chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore» (1Gv 4,7-8). Un amore che ci previene, perché è Dio ad averci amato per primo; san Giovanni insiste su questo primato dell’amore di Dio per noi, un amore che viene prima, prima di ogni nostra risposta, prima di ogni nostro amore, e dunque prima anche di ogni nostro merito.

L’amore che viene prima è un amore gratuito, e per questo è anche un amore misericordioso, capace di perdono. L’amore di Dio viene prima e dunque viene anche prima del nostro peccato. Per questo Dio, amandoci, ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati (cf. v. 10). Dio ci ama e ci perdona, e ci chiede di amarci gli uni gli altri come lui ci ha amati. E dunque cercando anche noi di vivere in questa gratuità che sa perdonare.

San Benedetto nella sua Regola vuole che i monaci preghino spesso il Padre Nostro, anche per questo motivo, perché la preghiera che Gesù ci ha consegnato ci impegna a vivere questo continuo perdono, che non è tanto frutto della nostra generosità o del nostro eventuale buon cuore, ma è frutto del suo amore che viene prima. Quando, nell’ultimo colloquio, con le sue lacrime Scolastica fa scoppiare quel violento temporale che impedisce a Benedetto di tornare al suo monastero, il santo esclama: «Che Dio Onnipotente ti perdoni, sorella; che cosa hai fatto?». Ma Dio non deve perdonare nulla a Scolastica; anzi, è proprio lei che diviene la testimone e l’annunciatrice di quell’amore che viene prima e che perdona.

Il Vangelo ci ha condotto nella casa di Betania, dove Marta accoglie Gesù servendolo, Maria ascoltandolo. San Bernardo, commentando la scena, afferma che Marta e Maria sono sorelle, e devono coabitare insieme nella stessa casa, nella pace. Servizio e ascolto non sono da contrapporre e non sono alternativi, a condizione che entrambi mettano Gesù al centro, cosa che a un certo punto Marta non riesce più a fare, perché al centro mette piuttosto se stessa e ciò che fa per Gesù, dimenticando che al centro deve rimanere Gesù e quello che lui fa per noi, in quel primato dell’amore che ci ha ricordato san Giovanni.

Per questo è importante l’ascolto, perché è ascoltando che accogliamo, come poveri, quello che Gesù fa per noi. Santa Scolastica può accogliere ciò che Dio fa per lei, esaudendo la sua preghiera, perché anche lei ha vissuto in questo ascolto e ha intuito che ciò che davvero tutto può è la potenza dell’amore.

Questi sono valori, atteggiamenti, comportamenti, che santa Scolastica, e insieme a lei san Benedetto, consegnano alla nostra vita, e alla vita di tutti, non solo di noi monaci e monache. Nella confusione, nella crisi, nella violenza e nello smarrimento dei nostri giorni, abbiamo certo bisogno di progetti educativi, di solide politiche sociali e culturali, di riforme strutturali ed economiche.

Sono fronti nei quali ci dobbiamo tutti impegnare a fondo, più di quello che stiamo già facendo, ma abbiamo bisogno anche di ciò che oggi santa Scolastica ci insegna: entrare nel silenzio del proprio cuore per ascoltare la voce di Dio e riconoscerla tra tante parole inutili che spesso ci seducono in modo negativo; nel silenzio del cuore dobbiamo imparare l’arte di un amore che sa perdonare e sa disegnare cammini di riconciliazione, di pacificazione, di rinnovata comprensione.

E dobbiamo fare tutto questo mettendo al centro il Signore Gesù. Senza dimenticare che mettere al centro Gesù significa mettere al centro la persona umana, con i suoi desideri e i suoi bisogni, con le sue necessità e le sue aspirazioni, con le sue debolezze e i suoi smarrimenti, che dobbiamo saper ascoltare, come fa Maria, e poi servire nel modo giusto, come deve imparare a fare Marta.